IPHIGENIA IN TAURIDE

IPHIGENIA
Progetto Biennale 2018-2019
dittico scenico musicale sul sacrificio delle innocenti

2018   IPHIGENIA IN AULIDE
Ah! quʼil est doux, mais quʼil est difficile
Ah! è dolce, ma difficile
da Euripide e Gluck < Creazione M.F. Maestri e F. Pititto

2019   IPHIGENIA IN TAURIDE
Ich bin stumm
Io sono muta
da Goethe e Gluck < Creazione M.F. Maestri e F. Pititto
con il patrocinio del Goethe-Institut Mailand

In questo nuovo processo creativo – secondo capitolo del dittico dedicato al mito di Ifigenia – l’installazione scenica e la regia di Maria Federica Maestri e l’imagoturgia di Francesco Pititto sono l’esito di una triplice ispirazione: il dramma di Goethe Iphigenie auf Tauris (1787), l’opera di Gluck Iphigénie en Tauride (1779) e la storica azione di Joseph Beuys Titus-Iphigenie del 1969.

Il quadro visivo su cui si infrangono le acque del Mar Nero che bagnano le rive di Tauride – l’attuale Crimea – definisce la linea di orizzonte che separa Iphigenia dalla patria e dagli amati. Sola, esiliata in una terra straniera in cui vigono usanze inumane, vive come un’ombra in un bosco sacro, custode muta del santuario dedicato a Diana, la dea che impietosita l’aveva salvata anni prima da un tragico destino di morte, vittima innocente della violenza del padre.

Al centro dell’area scenica, sospese tra i rami metallici di piante meccaniche, in un rispecchiamento nitidamente autobiografico, si stagliano le corna della cerva immolata e sgozzata al posto della giovane. Sul proscenio si erge un piccolo altare, un freddo tagliere in acciaio, su cui è posto un lavacro per eseguire i rituali di purificazione: su quell’altare, disobbedendo a leggi che ritiene ingiuste e disumane, Iphigenia non immolerà alcuna vittima, non compirà alcun sacrificio umano, ma con un rito intimo e segreto implorerà gli dei di ritornare libera e di essere felice. Di fronte al loro silenzio, confusa e angosciata, decide di osare un’azione audace e di conquistare una nuova patria-corpo, libera da vincoli sociali e religiosi.

Simboli, rituali, azioni autobiografiche della potente performance del 1969 di Joseph Beuys Titus-Iphigenia sono state ispirative per l’Iphigenia in Tauride di Lenz. La biografia della perfomer – Monica Barone – è diventata materiale estetico per un’azione che rende pubblica la propria condizione fisica, il proprio stato, la propria potente volontà di trasformazione del gesto intimo in riscatto dall’imposizione divina, di liberazione dall’ordine politico. In opposizione alla violenza di Titus Andronicus per Beuys e quella del feroce Toante, tiranno di Tauride, nell’Iphigenie auf Tauris di Goethe, i nuovi gesti reali e concettuali di Iphigenia diventano atto di ribellione e di rivolta contro le convenzioni e le norme sociali.

È ancora la biografia che muove il corpo e la vita dà forma al movimento: il Tanztheater di Pina ha segnato per sempre il linguaggio coreografico; le biografie dei danzatori sono state essenziali alla “compositrice di danza”, come la Bausch amava definire il proprio lavoro, per delineare stati emotivi, gesti e movimenti, colori e scritture musicali in ogni opera. Monica, motivata da una profonda necessità esistenziale, ma in particolare per questa Iphigenia, porta in scena se stessa e la propria vita, compie un rituale contemporaneo che necessita ancora di “danza”, oltre la parola, oltre il gesto, per essere libera di riscrivere la propria storia, per “trasformare il mondo”, avrebbe detto Beuys.

Ad interpretare Iphigenia in Tauride. Io sono muta è Monica Barone, danzatrice dotata di una grande sensibilità performativa maturata nel rapporto con la propria specificità fisica. Nonostante i numerosi interventi chirurgici al volto cui ha dovuto sottoporsi fin dalla primissima infanzia, Monica coltiva e pratica con disciplina e passione i linguaggi della danza contemporanea e la fotografia. Recentemente è interprete di Beatrice nella grande installazione site-specific del Paradiso di Lenz (2017).

 

Al centro dell’area scenica, sospese tra i rami metallici di piante meccaniche, si stagliano le corna della cerva sacrificata al posto di Iphigenia, il giorno in cui il padre – Agamennone – per propiziare la partenza delle navi alla volta di Troia, aveva deciso di sgozzare la figlia.

Sul fondo, pendente anch’essa da un tripode metallico, una colonna spezzata in due tronconi, memoria e presagio della rovina della casa paterna; una catena di morti violente ha infatti insanguinato la stirpe degli Atridi: Clitennestra, madre di Iphigenia, per vendicare la morte della figlia ha ucciso il marito, il figlio Oreste per vendicare la morte del padre ha ucciso la madre e, reso folle dalle Furie, vaga disperato alla ricerca della propria coscienza. In espiazione del delitto, spinto da Apollo approderà a Tauride con l’amico Pilade per rubare la statua di Diana custodita nel santuario e riportarla in Grecia per pacificare gli dei.

Dal luogo delle funzioni sacre al luogo della vita intima. A lato nella stanza di Iphigenia un giradischi suona l’omonima opera di Gluck – Iphigénie en Tauride – in una versione incisa su vinile registrata negli anni sessanta. Il cambio del disco scandisce il tracciato narrativo originario e il tempo poetico della vita di Iphigenia.

Su un piccolo altare, un freddo tagliere in acciaio, è posto un lavacro per eseguire i rituali di purificazione: su quell’altare Iphigenia, disobbedendo a leggi che ritiene ingiuste e disumane, non immolerà alcuna vittima, non compirà alcun sacrificio umano, ma con un rito intimo e segreto implorerà gli dei di ritornare libera e di essere felice. Di fronte al loro silenzio, confusa e angosciata, Iphigenia decide di osare un’azione audace e conquistare una nuova patria-corpo libera da vincoli sociali e religiosi.

Note biografiche

Lenz Fondazione | Maria Federica Maestri e Francesco Pititto
La storia artistica di Lenz è un incessante, continuo lavoro di indagine sul linguaggio contemporaneo. Nella prima fase del proprio percorso creativo Maria Federica Maestri e Francesco Pititto hanno attraversato le drammaturgie portanti della cultura occidentale, ritrascrivendone le pulsioni poetiche in azioni contemporanee. In una fase più recente gli artisti hanno messo al centro della propria poetica la ricerca visiva e plastica. L’azione performativa si incunea tra la scrittura per immagini e la creazione plastica dello spazio, che non ha più i limiti funzionali della scena ma tende ad essere un’installazione artistica vera e propria. La densità del lavoro performativo è simmetrica all’intensità, eccezionalità, unicità degli interpreti, non solo attori, ma reagenti artistici del testo creativo. Rimangono anche in questa fase recente, riferimenti a nuclei drammaturgici monumentali, ma vengono utilizzati come dispositivi grammaticali e non sintattici, non sottendono la forma della composizione.

Büchner, Hölderlin, Lenz, Kleist, Rilke, Dostoevskij, Majakovskij, Shakespeare, Goethe, Grimm, Andersen, Calderón de la Barca, Genet, Lorca, Bacchini, Ovidio, Virgilio, Manzoni, d’Annunzio, Ariosto, Dante, Euripide, Eschilo, Verdi, Gluck: questi gli autori che hanno segnato i progetti monografici e pluriennali di Lenz, a partire dal 1985. I recenti progetti di creazione performativa contemporanea sono il risultato artistico di un approfondito lavoro di ricerca visiva, filmica, spaziale, drammaturgica e sonora.

In una convergenza estetica tra fedeltà esegetica alla parola del testo, radicalità visiva della creazione filmica, originalità ed estremismo concettuale dell’installazione artistica, l’opera di Lenz riscrive in segniche visionarie tensioni filosofiche e inquietudini estetiche della contemporaneità.

Traduzione, riscrittura drammaturgica, imagoturgia delle opere sono di Francesco Pititto, che ne cura la regia insieme a Maria Federica Maestri. Le installazioni sceniche e i costumi sono realizzati da Maria Federica Maestri, segnalata dalla critica per il suo lavoro di “drammaturgia della materia”, per il sistema di segni visivi che costituiscono il suo personalissimo “design-acted”.

Monica Barone
Nasce a Caracas (Venezuela) nel 1972. Diplomata all’Istituto d’Arte Paolo Toschi di Parma (oggi Liceo d’Arte) e diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano nel 2006, esordisce a Milano nel 2000 come artista visiva alla Contemporary Art, con una serie d’immagini fotografiche, incluse nella personale ‘Il Corno d’Argento’ a cura di Luciano Inga Pin (2000) e successivamente di nuovo in mostra in una personale inserita nel progetto ‘Artintype’ a cura di arti grafiche Martintype, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera. Gli stessi lavori sono stati pubblicati sul Corriere della Sera ‘Fotografia la forza dell’anticonformismo’ (ottobre 2000) e sulla rivista Ballettanz (Berlino, agosto-settembre 2004).

In particolare con Laura Banfi e Nadia Pedrazzini inizierà a lavorare al progetto per uno spettacolo ‘Sull’ammore’ (2012) ed in seguito interprete delle performance ‘Lei’ (2012) ed in varie performance estemporanee attraverso la contact improvisation (2013). Partecipa, autonomamente, al progetto ACT#1 (Roma Fashion Week July 2006). In seguito ha collaborato con il C.I.M.D. (Centro Internazionale di Movimento e Danza) nella promozione di laboratori nelle scuole (2010-11). Recentemente ha partecipato allo spettacolo ‘Paradiso. Un pezzo sacro’ da Giuseppe Verdi e Dante Alighieri, installazione site-specific commissione speciale del Festival Verdi di Parma, per la regia di Maria Federica Maestri e la drammaturgia e imagoturgia di Francesco Pititto (ottobre 2017).

Formazione. Dal 1988 al 1994 studia teatro danza con Lucia Perego, Thierry Parmentier, Michele Abbondanza, Antonella Bertoni, Roberto Castello, Giorgio Rossi, Larrio Ekson, ma soprattutto dal 1998 al 2005 contact improvisation con Gabriela Morales, Jess Curtis, Lisa Nelson, Daniel Lephkoff, contact art con Laura Banfi, Nadia Pedrazzini, Roberto Lun. Preludio alla contact improvisation sarà il percorso di studi con Luisa Casiraghi (1993-1996) attraverso il quale conoscerà un approccio alla danza maggiormente focalizzato sulla ‘persona-danzatore’, considerata nella sua ‘totalità’ fisico-mentale-emotiva, unitamente ad un lavoro di terra dinamico e fluido (D.S.T. Dinamic Stick Technique, tecnica di danza con inclusi elementi di Aikido). L’esperienza di un movimento naturale nella danza prosegue nella contact improvisation e nello studio dei linguaggi da essa derivati, come la Danceability (tecnica di performance in improvvisazione praticata da abili e disabili, che studia con Laura Banfi e Alito Alessi dal 2001 al 2002). In seguito studierà danza contemporanea con Tino Schepis e più recentemente con Monica Bianchi. Dal 2012 pratica Yoga e meditazione con Nicoletta Ronconi.

IPHIGENIA IN TAURIDE
Ich bin stumm (Io sono muta)

Da Johann Wolfgang Goethe e Christoph Willibald Gluck

Testo e imagoturgia | Francesco Pititto
Installazione, regia, costumi | Maria Federica Maestri
Interprete | Monica Barone
Notazioni coreografiche | Davide Rocchi

Cura | Elena Sorbi
Organizzazione | Ilaria Stocchi
Ufficio stampa, comunicazione | Elisa Barbieri
Diffusione, promozione | Alessandro Conti
Cura tecnica | Alice Scartapacchio
Media video | Doruntina Film
Assistente | Giulia Mangini

Produzione | Lenz Fondazione

con il patrocinio di Goethe-Institut Mailand

Durata | 45 minuti

trailer:

integrale:

versione site-specific al Cimitero Monumentale della Villetta di Parma:

Con un’accensione di sguardo vigorosa, Maestri e Pititto tracciano in una sola interprete una geografia di passioni assolute, non determinabili in un tempo storico, restituendo a una danza essenziale di gesti la sua dimensione rituale. (more)

Giuseppe Distefano, Exibart

.

Se l’energia dell’attore, e dell’attore-sciamano, ha a che fare con stati psicofisici non quotidiani, qui abbiamo l’epifania di corpi che quell’energia incarnano spontaneamente e sono per questo in grado di scuotere teatralmente lo spettatore con la forza pura della sola presenza, naturalmente disciplinata e modellata in scena dalla relazione con la regista Maria Federica Maestri. (more)

Franco Acquaviva, Sipario

 

Accoglie lo spettatore una scenografia minimalista basata su una suggestiva sineddoche concettuale e visiva che crea un’ambientazione ibrida tra il sogno e l’ossessione. Le corna della cerva sacrificata al posto della donna oscillano come un monito agganciate a un sottile cavalletto meccanico e anche il tempio di Artemide è evocato da due colonne sospese a un analogo meccanismo. In un angolo lampeggia un misterioso altare su cui troneggia un lavacro trasparente, sacrale premonizione del rituale post moderno che si compirà nei successivi 45 minuti. (more)

Emanuela Zanon, Juliet Art Magazine

 

La danzatrice Monica Barone, la cui singolarità nella diversità è capace di diventare metafora della singolarità che fonda il nostro esserci di sentieri heideggerianamente segnati nella foresta, affronta il recupero di sé nei luoghi che hanno visto la frattura e la cesura con il mondo. È un ritorno in un mondo nuovo ma che, dentro di lei, è sempre esistito, inconsapevole forse,  ha da sempre bussato alla coscienza. Un percorso che ce la fa compagna, più che guida, perché i suoi passi, sovrapponendosi, diventino i nostri. (more)

Maria Dolores Pesce, dramma.it

 

L’Ifigenia di Lenz Fondazione ha una qualità che è forse definibile come “metafisica”. Le trasformazioni della donna non hanno luogo con i mezzi reali e concreti della parola o dell’azione. Ifigenia si trasforma sempre sprofondando dentro un’immagine e incarnando la visione sul suo corpo sensibile, che diventa così di colpo poetico e libero. (more)

Enrico Piergiacomi, Università degli studi di Trento

 

Skip to content