KINDER [Bambini]

Stiamo parlando di bambini, è bene ricordarlo perché usare il verbo – catturare – diventa quasi irreale e sarebbe troppo semplice accomunarli alle migliaia di bambini morti, deportati o in fuga dalle guerre recenti o in corso, perciò vogliamo concentrarci sui volti dei bambini di Parma, come su di un unico monumentale volto di bambino che possa rappresentare tutti i KINDER di ogni guerra.

Progetto per le Celebrazioni del 71° Anniversario della Lotta di Liberazione

La ricerca drammaturgica sui temi della Resistenza e dell’Olocausto ha dato vita a Kinder (Bambini), testo originale di Francesco Pititto sulla tragedia dei bambini ebrei di Parma vittime dello sterminio nazista. La storia della persecuzione antiebraica attuata dal fascismo tra il 1938 e il 1945 è nota, ma raramente ci si sofferma a riflettere su cosa abbiano significato quei tragici anni per i bambini italiani. Soprattutto per quelli ebrei, allontanati da scuola, testimoni impotenti della progressiva emarginazione sociale e lavorativa dei genitori, quando non della distruzione e dell’eliminazione fisica della propria famiglia.
Settantaquattro furono gli ebrei deportati dal Parmense, sia italiani sia stranieri. Delle ventitré vittime dello sterminio, sei furono bambini e la loro storia è entrata nella memoria collettiva di Parma. La storia raccontata ha inizio nel 1938, quando il governo fascista emanò leggi che colpirono i diritti di cittadinanza degli ebrei in Italia, e si concluse nell’aprile 1944, con la deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz di buona parte della comunità ebraica di Parma. Le vicende riguardano in particolare un gruppo di bambini, protagonisti, loro malgrado, di quella tragica vicenda: Donato e Cesare Della Pergola, Liliana, Luciano e Roberto Fano, Roberto Bachi. Prima di essere trasportati a Fossoli, furono internati nel campo di concentramento di Monticelli Terme (Parma). Nessuno di loro tornò da Auschwitz.

L’arte non serena

Si producono tante immagini durante i viaggi della Memoria, ma che cosa si documenta? quanto ci si può spingere oltre la documentazione? Se la documentazione, dal punto di vista estetico, rimane pressoché identica (media fotografici e audiovisivi perlopiù) e confinata dentro i confini del racconto storico, anche se elaborata scrivendo poesie o impressioni, col passare del tempo la memoria si “congela” in una struttura formale rigida, quel che resta dei campi di lavoro e di sterminio rimane edificio, rotaia, cancello, filo spinato e ognuno risuona di umanità distrutta ma resta l’immagine di quel che è, di quel che era; mentre misurarsi con la produzione di nuove immagini, di nuove forme espressive, fino ai confini di quel che ci concede l’interpretazione storica, etica e la creazione artistica, porterebbe il documento storico – sia esso monumentale, architettonico, fotografico o cartaceo – a rinnovarsi nella sua funzione di divulgazione e di presenza nella contemporaneità, apportare trasformazioni che diminuiscono la distanza temporale, il ricordo, l’immagine-cristallo del passato e del presente si fonderebbero in un’unica figura, che è memoria ma anche vita dell’oggi. Quando non ci saranno più superstiti a ricordare al mondo quel che è stato, le nuove generazioni dovranno di nuovo raccontarlo alle successive per tenere vivo il ricordo e la modalità del nuovo racconto, affinché la Storia non si allontani troppo, dovrà trovare i mezzi più efficaci per farla arrivare ancora dritta al cuore e alla mente di ognuno, affinché diventi la nostra storia. Perché purtroppo le immagini e la realtà del presente ci forniscono continuamente rimandi diretti con quanto è già accaduto.
La drammaturgia di KINDER contiene diverse parti di questa Storia: l’elenco dei campi di lavoro e di sterminio, le lettere di una madre al “Signor Questore della Provincia di Parma”, poesie anonime di bambini ebrei dei campi, dialoghi immaginari tra i bambini di Parma con altri due bambini dei campi, Tereszka e Papo, una versione ritradotta di “Tenebrae” di Paul Celan ma il nucleo drammaturgico rimane il canto. Ed ecco la presenza/resurrezione dei bambini del Coro di Voci Bianche diventare essenza performativa insieme ad un’unica attrice, riflesso e rifrazione di sei vite troncate, tramite i loro sguardi silenziosi e poi voci recitanti e intonanti un unico Lied di Mozart/Overbeck “Komm lieber Mai_” che parla di un Maggio imminente, di violette, di giochi nella notte e nella neve, di un libero paese amato.
Intorno e all’interno, il paesaggio elettronico di una drammaturgia musicale composta di voci straniere, rumori rielaborati fatti di rimandi sonori del Campo, movimenti musicali tesi a creare nuove dinamiche spazio-temporali.
KINDER va alla ricerca di un’Eco di quel che non si potrebbe più dire, più ascoltare, più scrivere, mai più dimenticare, di un’arte non serena. Paradossalmente tenta di “suonare il silenzio” che la morte di sei bambini ebrei, insieme a quella di milioni di esseri umani, imporrebbe alla ragione; ma anche Adorno, dopo il dialogo a distanza con Celan sulla impossibilità della poesia dopo Auschwitz, ha poi scritto: “Il dolore incessante ha tanto diritto di esprimersi quanto il martirizzato di urlare. Perciò forse è falso aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere una poesia […] L’arte che non è più affatto possibile se non riflessa, cioè presa se non come un problema, deve da sé rinunciare alla serenità. E la costringono innanzitutto gli avvenimenti più recenti, il dire che dopo Auschwitz non si possono più scrivere poesie non ha validità assoluta, è però certo che dopo Auschwitz, poiché esso è stato e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può più immaginare un’arte serena”.

KINDER [Bambini] Testo e imagoturgia | Francesco Pititto
Installazione, elementi plastici, regia | Maria Federica Maestri
Musica | Andrea Azzali
Direzione Musicale voci bianche Ars Canto | M° Gabriella Corsaro
Consulenza Storica | Marco Minardi
Interpreti | Valentina Barbarini con Pietro Anelli, Samuele Bellingeri, Matteo Castellazzi, Marcello Costa, Martina Gismondi, Agata Pelosi, Alessandro Poli, Cloe Teodori, Anna Giada Vaccaro
Luci | Alice Scartapacchio
Assistente | Marco Cavellini
Produzione | Lenz Fondazione in collaborazione con ISREC

Inaugura il progetto una conversazione presso Lenz Teatro – il 25 aprile alle ore 18 – moderata da Marco Minardi, direttore dell’ISREC – Istituto storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Parma, con l’intervento dello storico torinese Bruno Maida, autore di diversi libri sulla Shoah e sui bambini ebrei, e della docente Patrizia Bertolani del Liceo Marconi, in dialogo coi Direttori Artistici di Lenz.

Si producono tante immagini durante i viaggi della Memoria, ma che cosa si documenta? quanto ci si può spingere oltre la documentazione? Se la documentazione, dal punto di vista estetico, rimane pressoché identica (media fotografici e audiovisivi perlopiù) e confinata dentro i confini del racconto storico, anche se elaborata scrivendo poesie o impressioni, col passare del tempo la memoria si “congela” in una struttura formale rigida, quel che resta dei campi di lavoro e di sterminio rimane edificio, rotaia, cancello, filo spinato e ognuno risuona di umanità distrutta ma resta l’immagine di quel che è, di quel che era; mentre misurarsi con la produzione di nuove immagini, di nuove forme espressive, fino ai confini di quel che ci concede l’interpretazione storica, etica e la creazione artistica, porterebbe il documento storico – sia esso monumentale, architettonico, fotografico o cartaceo – a rinnovarsi nella sua funzione di divulgazione e di presenza nella contemporaneità, apportare trasformazioni che diminuiscono la distanza temporale, il ricordo, l’immagine-cristallo del passato e del presente si fonderebbero in un’unica figura, che è memoria ma anche vita dell’oggi. Quando non ci saranno più superstiti a ricordare al mondo quel che è stato, le nuove generazioni dovranno di nuovo raccontarlo alle successive per tenere vivo il ricordo e la modalità del nuovo racconto, affinché la Storia non si allontani troppo, dovrà trovare i mezzi più efficaci per farla arrivare ancora dritta al cuore e alla mente di ognuno, affinché diventi la nostra storia. Perché purtroppo le immagini e la realtà del presente ci forniscono continuamente rimandi diretti con quanto è già accaduto.

 

 

 

(…) Kinder è composto secondo il principio dell’ironia tragica, quell’espediente narrativo per cui essendo l’epilogo di una vicenda già rivelato, tutto ciò che avverrà, triste o felice che sia, sarà raggelato dalla certezza della fine. L’ironia tragica inchioda qualunque presente narrato – a teatro diremmo “evocato” – perché proponendolo lo nega. Maestri e Pititto tuttavia non “utilizzano” l’ironia tragica, la mettono a sistema. Negando cioè qualunque rappresentazione, concentrano l’intero lavoro su ciò che non si può mostrare; non tanto per discrezione ma proprio perché l’Olocausto è un vuoto: con esso non si trattò più di uccidere ma di negare la vita. Questa è la vera lezione storica, apolitica, umana, dell’Olocausto, e Lenz ce la restituiscono con lucidità e abnegazione, fino al rischio di rinunciare alla riuscita teatrale. Nessun pathos, nessun mito, un pesante vuoto e poi il silenzio: a ricordarci che una voce un tempo esisteva. more (…)
Giulio Sonno, Paper Street


Donato e Cesare Della Pergola, Liliana, Luciano e Roberto Fano, Roberto Bachi, Salomon Papo, Rena Papo, Teresa, si sono mostrati con il volto dei nostri figli, mentre noi ci siamo resi irriconoscibili come padri. Kinder (Bambini) ci ha messo di fronte alla paura e al disgusto di averli uccisi noi e di continuare a farlo, anche solo permettendo che accada: il silenzio è il campo di sterminio che ancora non è stato liberato. Da là cantano i Kinder. more (…)
Matteo Brighenti, PAC – PaneAcquaCulture


Quello di Pititto e Maestri, artisti al pari della piccola Tereska alle prese con l’avvolgente disegno della propria casa, è un impulso incessante, un lavoro continuamente propedeutico a ciò che l’arte non dovrà/potrà mai presentare in forma conclusa: il poetico tentativo di trasfigurazione del non finito dell’esistenza, di un orizzonte impossibile da possedere e in cui coltivare l’etica dell’ospitalità, per così offrire agli ultimi, ma a chiunque, anche e soprattutto quando sensibile, dunque non atteso, la speranza di trovare sempre accolta la propria dignità. more (…)
Daniele Rizzo, Persinsala


Un’impresa dunque particolarmente ardita questa di Lenz: e parlando di bambini con bambini in scena! (…) E i dialoghi tra i bambini sembrano possedere una loro sconcertante naturalezza: come ti chiami? sei solo? ci vediamo domani? (…) Kinder riesce a emozionare profondamente proprio attraverso un rigoroso insieme formale, uno spettacolo dove però a recitare, a cantare, sono dei bambini, a evocarne altri cui non è stato permesso di diventare grandi.
Valeria Ottolenghi, Gazzetta di Parma

 

 

 

 

 

 

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