ROSA SHOP
[ Resistence / Olocausto ]
ROSA SHOP
TRIANGOLO ROSA
Dal 2015 Lenz Foundation has made permanent its historic dramaturgical research project around the themes of the Resistance and the Holocaust. Realizzato con la consulenza scientifica dell’Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea viene configurato come attività di studio performativo pluriennale.
In continuità con i programmi artistici avviati negli anni scorsi Lenz Fondazione intende realizzare un ampio progetto di creazioni performative contemporanee, seminars, e giornate di riflessione pubblica, dedicati ai temi della Resistenza e della tragedia europea durante le dittature nazi-fasciste.
2016 KINDER [Children]
Sulla tragedia dei bambini ebrei di Parma vittime dello sterminio nazista.
2017 ACTION T4
Sul programma nazista di eutanasia per la soppressione dei bambini nati con malformazioni o portatori di handicap.
2018 ROSA SHOP [Pink triangle]
Sulla deportazione e sterminio degli omosessuali nei campi di concentramento nazisti.
Nel corso del regime nazista tedesco, numerosi omosessuali furono internati in campi di concentramento insieme a Ebrei, Rom, bambini e adulti portatori di handicap, oppositori del regime, comunisti. A distinguere gli omosessuali dagli altri prigionieri era, nel caso degli uomini, un triangolo rosa cucito sulla divisa all’altezza del petto; nel caso delle donne, un triangolo nero. Si è soliti riferirsi allo sterminio degli omosessuali nei campi di concentramento nazisti come Omocausto. Si stima che gli omosessuali internati nei lager siano stati almeno 50.000.
Già nel 1934 Lévinas scriveva: «La filosofia di Hitler è rudimentale. Ma le potenze primordiali che vi si consumano fanno esplodere la fraseologia miserabile sotto la spinta di una forza elementare. Destano la nostalgia segreta dell’animo tedesco. Ben più che un contagio o una follia l’hitlerismo è un risveglio di sentimenti elementari».
Anziché la libera ricerca di un altrove, di un nuovo mondo razionale o di un luogo divino per l’uomo e la donna occidentali, l’hitlerismo ha incatenato la verità a una comunità di sangue, a un’immaginaria unità di razza, che inchioda i suoi membri ad una condizione immobile.
Il principio è l’identità biologica: l’io, nell’hitlerismo, viene pensato come coincidente e identico al corpo biologico, vincolo imprescindibile di una comunità di sangue, di corpi biologici che si identificano e si riconoscono in un “noi”. Momento, Therefore, di glorificazione per gli uni e di dannazione per gli altri – in primo luogo gli ebrei – anch’essi inchiodati all’identità biologica che è loro attribuita. Poi tutti gli altri non appartenenti, o nocivi, alla purezza o alla crescita del “noi”. L’identità biologica, le caratteristiche ereditarie e somatiche, quindi il corpo e la diversità tra i corpi diventano elemento di dominio della razza destinata. Il corpo del “noi” assume forme e caratteristiche identitarie.
Il nazismo non concepisce il corpo come corpo dell’individuo, ma sempre riferito ad un’entità collettiva, il Volk popolo inteso in senso etnico-razziale. È il Volkskörper, il corpo sociale, il corpo della nazione Volksgemeinschaft, comunità nazionale che deve avere buona salute ed essere fortificato, temprato alla fatica e alla sofferenza, per dare dimostrazione di superiorità razziale, ma anche per rigenerare la razza stessa.
“Dein Körper gehöhrt dir nicht!” il tuo corpo non ti appartiene. Lo sport e l’attività fisica è: Lebenskampf, lotta per la vita.
Metafora del soldato invincibile e personificazione dell’uomo ariano perfetto il campione sportivo del Reich attira su di sé tutte le aspettative di un regime che ha bisogno del corpo dell’atleta per esibire la prova della propria superiorità biologica.
Tranne nei casi in cui l’atleta sia ebreo, nemico politico, zingaro o altro e infine omosessuale o, in caso di atleta donna, lesbica.
E’ sempre il corpo, la relazione tra i corpi e l’appartenenza ad altre categorie di corpi, che fa la differenza. Anche se l’atleta è un campione o una campionessa.
Tra le migliaia di corpi martoriati e perseguitati ne abbiamo scelto uno per tutti come rifrazione storico-drammaturgica, Otto Peltzer, uno dei più grandi mezzofondisti della storia. Arrestato, incarcerato diverse volte, poi Mauthausen fino al 5 maggio del 1945, quando gli americani lo liberano. Ma Otto non viene riabilitato neanche nella Germania post nazista. Il “peccato” dell’omosessualità lo perseguiterà. Andrà in India a insegnare atletica e altri sport ai giovani, rientrando in Germania solo alla fine.
E nemmeno oggi il traguardo è vicino e la corsa continua.
Come nella lampadedromia, la corsa con le fiaccole, l’atleta/uomo/donna continua a passare la fiamma che porta il nuovo fuoco sacro. Nel più breve tempo possibile e sempre più veloce, per arrivare al traguardo di un nuovo concetto di relazione tra gli uomini, di una nuova idea di comunità, di una nuova idea di libertà.
“Sopra la testa il cielo, sotto i piedi la terra,/di fianco il niente./Sento che qualcuno di lato ci guarda./Sento ma non guardo, perché sto vivendo,/correndo.”
Francesco Pititto
Note sul dispositivo scenico di Rosa Winkel
Lo spazio di Rosa Winkel è ripartito ritmicamente da sequenze modulari variabili formate da sedici armadietti metallici. Il volume plastico del piccolo armarium contiene la duplice dimensione insita nello spogliarsi: lo smascheramento, la liberazione dall’involucro esteriore e al contempo il denudamento, inteso come perdita di identità, azzeramento dell’unicità e della differenza. La moltiplicazione degli scomparti installati nello spazio scenico determina l’oscillazione tra l’uno e l’altro aspetto, permettendo di ‘figurare’ la doppia dinamica su cui si muove la drammaturgia: la pienezza corporea della identità omosessuale dell’atleta e la secchezza identitaria del corpo dell’internato, privata di ogni segno sessuale, la sua negazione assoluta nel campo di sterminio. Solo una fuga, una corsa senza fine, a sostituirne la forma affettiva e corporea.
Il dispositivo drammatico rimbalza tra l’esaltazione del sentire fisico e la sua totale sottrazione operata nei lager tramite la castrazione, gli esperimenti ormonali e i trattamenti clinici. Le scansioni spaziali dei contenitori metallici, l’apertura e la chiusura di questi archivi minimi dell’orrore storico normano l’alternanza scenica tra campo epico e campo tragico.
Maria Federica Masters
[ Resistence / Olocausto ]
ROSA SHOP
TRIANGOLO ROSA
Original text and imagery | Francesco Pititto
Installazione e regia | Maria Federica Masters
Interpreters | Valentina Barbarini, Adrian Engelbrecht, Roberto Riseri, David Rocchi
Musica | Andrew Azzali
Treatment | Elena Sorbi
Organization | Ilaria Stocchi
Press and communication office | Michele Pascarella
Technical care | Alice Scartapacchio
Media video | Stephen Cacciani
in collaborazione con ISREC
con il patrocinio di Arcigay Associazione LGBTI+ Italiana
Production Lenz Foundation
ROSA SHOP – full video
Uno spettacolo che a tratti si carica anche di profondo erotismo che va di pari passo col buio di Thanatos e che, nell’oscurità rischiarata da potenti fari puntati addosso come durante un interrogatorio, permette di riscoprire uno dei lati meno raccontati di quel delirio collettivo durato anni. more (…)
Matteo Bergamini, Exibart, 24 April 2018
L’immersione è immediata. Sedici armadietti metallici collocati al centro in due lunghe file speculari lasciano un corridoio in mezzo, e, attorno, un largo spazio per permettere di muoverci in libertà ad osservare, ascoltare, vivere anche noi spettatori dentro la scena-lager e campo d’atletica. more (…)
Giuseppe Distefano, Curtain, 30 April 2018
I tre interpreti maschili, tre atleti, prima di spogliarsi dei propri costumi ginnici vanno percorrendo e occupando la sala, fruita in modo itinerante anche dal pubblico, per tratteggiare percorsi di gara ideali, disegnare geometrie relazionali, modulare con brevi e repentini scatti di corsa, e con l’aprire e chiudere degli armadietti (ante della memoria e del pensiero, contenenti oggetti, luci e microfoni per parole segrete), i tempi, le forme, le dinamiche e il tessuto connettivo della composizione generale, oltremodo sorretta da un reticolo sonoro e musicale di ispirazione wagneriana. more (…)
Francesca Ferrari, Theaterpolis, 5 maggio 2018
Folgorante la scena con il reggente sul trono, Himmler, che lancia, furiosamente frustrato, centinaia di soldatini sul petto dell’atleta che, inesorabile, gli si avvicina.
Tommaso Chimenti, Hystrio, luglio-settembre 2018