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Natura Dèi Teatri è un progetto di creazioni performative contemporanee internazionali, di produzione artistica e di riflessione intellettuale sullo stato dell’arte contemporanea, fondato a Parma nel 1996 da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto. L’attenzione alla creazione contemporanea, l’interdisciplinarietà degli eventi presentati, un forte radicamento sul territorio, unito a una profonda vocazione per la cultura performativa internazionale sono caratteristiche storiche del Festival. Sede e fulcro del progetto è Lenz Teatro, esempio di teatro concreto ottenuto da spazi post-industriali reinventato ad abitazione creativa per volontà di una formazione artistica.
I Due Piani come tema concettuale della XIX edizione del Festival, dopo Ovulo nel 2012 e Glorioso nella scorsa edizione, conclude il progetto triennale alimentato dalle suggestioni filosofiche di Gilles Deleuze. Il programma 2014 propone «dieci declinazioni scenico-performative dell’identità duplice, stratificata, multipla del linguaggio», attraverso creazioni internazionali di teatro, musica, danza, video e performance.
Perché accada qualsiasi evento c’è bisogno di una differenza di potenziale e ci vogliono due livelli, bisogna essere in due, allora accade qualcosa. Un lampo o un ruscelletto e siamo nel dominio del desiderio. Un desiderio è costruire. Tutti passiamo il nostro tempo a costruire. Per me quando qualcuno dice ‘desidero la tal cosa’ significa che sta costruendo un concatenamento. Il desiderio non è nient’altro. (G.D.)
E cos’altro è il lavoro dell’artista se non costruire, e poi costruire e poi continuare a costruire. Continuare a ricercare la differenza di potenziale, i due livelli. Un continuo duello tra passato e presente che è già passato, l’attimo esistente è già memoria. E allora cos’è contemporaneo? Forse due piani paralleli, due livelli di incontro e scontro, quella luce delle stelle che vediamo in cielo di notte e che pur viaggiando per sempre verso di noi mai ci raggiungerà e di cui percepiamo in primo luogo il buio dal quale proviene? La luce dalla tenebra. Come nell’inquietante immagine/metafora di Giorgio Agamben per descrivere il tempo presente e la contemporaneità. La luce e la tenebra, i due piani e la differenza di potenziale. Ma quel che non si può esprimere con la parola diventa per l’artista contemporaneo più vitale della luce e dell’evidente, quel che pensa di non poter vedere lo affascina, quel che è nascosto lo incuriosisce, la sua immagine-cristallo lo commuove, la rifrazione di quel che non si conosce e dell’indicibile lo esalta, senza sapere dove sia posta e quanto densa sia la materia che devia, dal principio, il suo raggio di luce. Ecco allora i volti anonimi o riconoscibili di Singspiele di Maguy Marin, Re Lear e il desiderio ricostruito di un’opera mai compiuta di Verdi-Lenz-Scanner, il Maestro Eckhart di Berti che penetra nell’oscurità dello spirito, il Corpo Sacro del suono di Andrea Azzali, quello sfuocato e metamorfico di Pieter Ampe, The Telescope di Tim Spooner a dar forma alla materia minima, Pitozzi a radiografare la materia sonora in Magnitudini, Wirkus-Lenz a scavare nel buio hölderliniano con Diotima, Via Negativa a ricercare il limite del corpo umano e, infine, Adelchi di Manzoni-Lenz con i suoi attori sensibili al tempo dell’Arte senza tempo, all’attimo infinito in cui, nel nero del firmamento, la luce stellare sembra pulsare come un cuore umano, per poi svanire quando sorge l’aurora.
Francesco Pititto