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Un rosone dorato in alto con all'interno un simbolo sacro a forma di triangolo. Sotto una videoproiezione circolare inquadra una figura umana che cavalca a braccia aperte un toro dorato. Tutto il resto è nero.

NUMERI

Pentateuco Antico Testamento

Dal IV Libro dell’Antico Testamento
Le Sacre Scritture
Progetto quadriennale drammaturgico e di cultura visuale 2021>2024

La ricerca di Lenz sui testi sacri è iniziata con La Creazione, opera ispirata alla Genesi e alle contemporanee visioni sull’origine della materia e dell’Universo, dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande dei fondamentali della vita, fin qui conosciuta.

Tramite il linguaggio del teatro, unica forma d’arte a rappresentare, a immagine e somiglianza dell’uomo e della donna, la complessità del vivere e della vita di fronte ad altri esseri umani, il progetto in atto si concentra sul quarto Libro del Pentateuco e della Bibbia, Numeri, per terminare con l’Apocalisse e le Apocalissi Gnostiche, riflessioni/ azioni sullo svelamento e sulla possibilità di verità delle cose.

Il titolo “Numeri” è stato dato a questo libro dai traduttori della cosiddetta Settanta – traduzione in lingua greca della Bibbia ebraica, redatta presumibilmente tra il III e il I secolo a.C. -, per i due censimenti descritti nel libro: il primo, a due anni dall’uscita dall’Egitto, il secondo nei pressi del fiume Giordano, nel quarantesimo anno. Come il resto del Pentateuco, è stato scritto da Mosè in persona.

Il testo descrive la sofferenza, le disillusioni, le rivolte del popolo d’Israele errante nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto e le diverse prove alle quali viene sottoposto per dimostrare la propria fedeltà, fede e aderenza alle promesse divine di una nuova terra da abitare.

Il censimento in diversi momenti del lungo periodo d’esilio documenta il cambio generazionale tra i fuggitivi dell’inizio dell’esodo e quelli, seppure ancora in fuga, predisposti per età e desiderio di stanzialità alla guerra, necessaria contro altri popoli al fine di conquistare, infine, la terra promessa.

La quantità profetica e l’acqua

Testo di Francesco Pititto

Diverse sono le immagini imponenti contenute nei capitoli: la nube sopra la tenda di Dio, le trombe d’argento, la giovenca rossa, il serpente di bronzo, l’asina, le conseguenze contenute nelle nuove leggi. Immagini e situazioni che configurano diverse affinità con il nostro presente, così precario sui principi, sul rispetto della terra, timoroso delle diversità e propenso più a chiudersi che ad aprirsi al rischio del nuovo.

I due pilastri della drammaturgia, però, si rivolgono in particolare alla questio della quantità intesa come somma di individui accomunati da una missione profetica – tra conquista e terra promessa – e a quella dell’acqua, elemento vitale al raggiungimento degli scopi divini e umani, alla rappresentazione conscia e inconscia di questo elemento.

Per Jung l’acqua era una metafora dell‘inconscio. Nello studio dei simboli connesso alla psicologia del profondo all‘acqua viene attribuita estrema importanza: è un elemento indispensabile alla vita ma non nutre, è simbolo fondamentale di ogni energia inconscia e pertanto è anche pericolosa quando si presenta travalicando gli argini che le sono propri (psicosi).

La parola majim, “acqua”, risuona oltre 580 volte nell’Antico Testamento, come l’equivalente greco hydor ritorna un’ottantina di volte nel Nuovo.

Circa 1.500 versetti dell’Antico e oltre 430 del Nuovo Testamento sono “intrisi” d’acqua, perché oltre ai vocaboli citati c’è una vera e propria costellazione di realtà che ruotano attorno a questo elemento così prezioso, a partire dal pericoloso jam, il “mare”, o dal più domestico Giordano, passando attraverso le piogge (con nomi ebraici diversi, se autunnali, invernali o primaverili), le sorgenti, i fiumi, i torrenti, i canali, i pozzi, le cisterne, i serbatoi celesti, il diluvio, l’oceano e così via.

Per non parlare poi dei verbi legati all’acqua come bere, abbeverare, aver sete, dissetare, versare, immergere (il “battezzare” nel greco neotestamentario), lavare, purificare. _ Al popolo assetato, che mormora per la scarsa fede Dio risponde con il prodigio della sorgente scaturita dalla roccia.

Anche la ricerca sulle immagini generate dalla scrittura del testo originale di Lenz – imagoturgia – e viceversa i versi rigenerati dalle immagini si riferiscono principalmente all’acqua, alla sua mancanza, alla sua forza di determinare il paesaggio, ivi compreso il paesaggio degli umani e non umani. Poi la quantità prosciugata e ristretta in una individualità, in un essere solitario – unico bipede nel quadro – in una reciprocità di contrari che creano un vuoto colmo di presenza, come se tutta l’umanità fosse implosa in quell’unico essere vivente.

Il luogo prestato al testo d’immagine, alla drammaturgia visuale, è uno spiaggione del Po in secca, dove calura e arsura delineano forme prospettiche e onde d’aria che muovono i contorni.
Solitario in quel paesaggio abita il Poeta.

Numeri di Lenz è solo idealmente riferito al Libro dei Numeri, il quarto libro dell’Antico Testamento. La numerazione degli esseri, il censimento che elenca e denomina corpi da ri-conoscere, i viandanti nel deserto come testimoni alla prova del dolore e del riscatto sono nuova materia di riflessione, dopo la Genesi, un nuovo concentrarsi sul senso del teatro contemporaneo e sul significato di rappresentazione.