DIDO
Didone rappresenta il corpo mitico dell’Africa, conquistato, goduto e abbandonato dall’eroe d’occidente Enea, fondatore di Roma e del nuovo impero. E la stessa Cartagine, la città fondata da Didone, è secondo il mito, definita e circoscritta da pelle animale, sottile e vulnerabile. Pelle, corpo, cute, si arrossano di passioni, tremori e dolori sotto lo sguardo di desiderio della latinità senescente di Enea.
Con Dido si compie il lungo progetto performativo e visuale ispirato alle opere di Ovidio: dopo Radical Change, Chaos ed Exilium, libere creazioni tratte da Le Metamorfosi e i Tristia, Lenz Rifrazioni innesta la propria poetica visionaria sulle Epistulae heroidum, per rielaborare artisticamente la figura di Didone, la regina suicida, icona classica dell’estremismo sentimentale esaltata nelle opere di Guido Reni, Rubens, Tiepolo, Vouet, Lorrain e protagonista dell’opera di Henry Purcell “Dido & Aeneas”, capolavoro musicale del barocco. A lei Ovidio dedica una delle ventuno lettere d’amore immaginarie che compongono le Heroides in cui la regina scrive ad Enea – indicato dagli dèi come futuro fondatore di Roma – nel vano tentativo di convincerlo a non abbandonarla. La fuga di Enea che abbandona Didone strappandole l’anima e spingendola al suicidio sembra preludere agli orrori futuri che l’Italia fascista porterà in Africa con la conquista dell’Etiopia nel 1936. Non a caso, infatti, negli anni ‘30 all’interno della riappropriazione del mito dell’Impero romano ad uso della retorica mussoliniana, Didone viene demonizzata in quanto donna simbolo del continente preda.
Didone rappresenta il corpo mitico dell’Africa, conquistato, goduto e abbandonato dall’eroe d’occidente Enea, fondatore di Roma e del nuovo impero. E la stessa Cartagine, la città fondata da Didone, è secondo il mito, definita e circoscritta da pelle animale, sottile e vulnerabile. Pelle, corpo, cute, si arrossano di passioni, tremori e dolori sotto lo sguardo di desiderio della latinità senescente di Enea.
Il progetto installativo di Dido mette al centro della creazione il rapporto tra i soggetti performanti, una donna-bambina e un vecchio-maschio. Sul proprio corpo la bambina fonda una città sentimentale governata da leggi cutanee, non condizionata da atti autoritativi, esclusivamente ordinata dalla norma epidermica dell’affezione. Il corpo del vecchio, fisica dell’ospizio civico-ideologico dell’occidente, somatica residuale della classicità, si eroizza nella pompa epica del pius, rispettoso della volontà divina, delle leggi e dei doveri verso lo Stato, di fronte ai quali sparisce la necessità dell’individuo.
Il testo di Ovidio, intrecciato a riferimenti da La tragedia di Didone, regina di Cartagine di Christopher Marlowe, Leonce und Lena di Georg Büchner e dal V Canto dell’Inferno di Dante Alighieri, prende corpo attraverso una partitura filmica stratificata, stratificata, realizzata nel sito archeologico di Cartagine in Tunisia e a Cartagena in Spagna, che restituisce mappe geografico-emozionali, visioni poetiche che dilatano l’azione performativa e invadono lo spazio scenico, rifrangendo i nuclei drammaturgici primari del mito tragico.
Le immagini scrivono versi.
Le immagini ricreano la geografia del mondo,
le vele ondeggiano da passione a ragione seguendo le onde del tempo e Dido rinasce, come nuova Fenice, dalle ceneri del rogo.
Dido d’oggi, dipinta di nero, quadro del presente che riflette il passato, storia recente e storia avvenente, donna incinta/ta e suicidata dall’amante fuggito per il compito virile. Fecondare una patria nuova che partorisca l’impero, il nuovo confine del mondo globale e del pensiero individuale. Le immagini rimbalzano, come palline di flipper, colpendo bersagli sonori di cose accadute, presenti e future. Giovinezza, giovinezza: il trucco copre di bianco il nero che stava sul bianco, di nero quel che un tempo era nero. I crani vuoti degli ospiti infernali, i teschi volanti, ricordano che età e amori perduti mai più rispuntano dal mare.
Mediterraneo, in mezzo alle terre
a naufragare promesse, addii, ritorni.
da Epistulae Heroidum di Publio Ovidio Nasone
La tragedia di Didone, regina di Cartagine di Christopher Marlowe
Leonce und Lena di Georg Büchner
Inferno (Divina Commedia) di Dante Alighieri
creazione | Maria Federica Maestri | Francesco Pititto
traduzione | drammaturgia | imagoturgia | Francesco Pititto
installazione | elementi plastici | regia | Maria Federica Maestri
musica | Andrea Azzali_Monophon
interpreti | Valentina Barbarini | Giuseppe Barigazzi
luci | Davide Cavandoli
produzione | Lenz Rifrazioni
progetto in residenza al Centro Párraga di Murcia (Spagna)
Dido_parte 1
Dido_parte 2
Lasciata da Enea nella disperazione: <<Dido>> come l’ Africa
Di Valeria Ottolenghi, 23 giugno 2010
Ha ispirato poeti, pittori, scultori, musicisti Didone regina abbandonata dall’eroe troiano che il destino chiamava altrove, lei suicida nel fuoco mentre le vele portavano lontano l’amato. Ma nella <<Dido>> di Lenz, ispirata a Ovidio, con altri frammenti poetici – anche Dante – questa figura femminile, la pelle colorata di scuro, finisce per rappresentare tutto il continente africano ed Enea il bianco conquistatore (molti e precisi riferimenti a Mussolini e all’impresa coloniale), anche se in una dialettica più complessa di metamorfosi e scambi. I corpi si confrontano, spesso nella loro esposta nudità, anche per l’età, lui più vecchio, e per il colore, in complessi giochi di molteplici riflessi.
Anteprima della nuova creazione di Lenz, presentata ora a Parma nell’ambito di Parmapoesia, <<Dido>> – di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, interpreti Valentina Barbarini e Giuseppe Barigazzi, musiche di Andrea Azzali – attraversa il tempo e la storia, con filmati che mostrano anche porti e città del presente.
Alte pareti trasparenti. Lei gioca con un copertone. Le immagini – sempre di una speciale preziosità – mostrano fragilità, lei evocando lo sguardo perduto della rassegnata desolazione nella povertà africana, lui gli anni trascorsi, tanti i decenni che il corpo ricorda. Belle in particolare alcune posture di lei, che appare quasi scultura nelle riprese, il corpo come allungato.
Travestimenti. E anche la sessualità è motivo di rispecchiamento, di scambio d’identità. Lei si spalmerà di polvere bianca e bacerà lui, rosse le labbra, che intanto si era dipinti di nero i capelli: metamorfosi possibili? Non pare esserci una dimensione psicologica ma proprio planetaria.
Scorrono i video moltiplicati anche a terra. Lei avrà un libro in mano mentre si avverte la presenza del fuoco. Città da costruire con blocchetti colorati. La donna infine, con la testa di toro, non riconoscerà come cibo quel mucchio di plastica verde. Sono/ siamo legati indissolubilmente uomini e donne, passato e presente, bianchi e neri, stati e continenti, giovani e vecchi: e con <<Dido>> a Lenz è parso di sentire intenso il sentimento cupo della disperazione.
Lenz, ultimo atto con Didone
Di Giuseppe Liotta, Hystrio 1.2011