Il Grande Teatro del Mondo

Giornata Mondiale della Giustizia Sociale

Per l’intera giornata del 20 febbraio sarà disponibile alla visione l’auto sacramental realizzato all’interno degli spazi espositivi del Complesso della Pilotta di Parma [+]

 

Prima parte del trittico Il Passato Imminente a partire dalle opere di Calderón de la Barca

Il dramma barocco filosofico-teolologico rappresenta perfettamente la questione tematica che titola l’intero progetto: il passato imminente. Il monumento farnesiano tra periodo storico e contemporaneità, la drammaturgia che isola nello stesso spazio-tempo la vita e il sogno (e viceversa) e la relazione tra spazio urbano, fruizione collettiva e memoria attiva configurano un ipotetico quadro di sintesi e progetto per la capitale del futuro. La percezione del tempo individuale attraverso molteplici forme artistiche (installazione nello spazio, immagini videoproiettate, performance dal vivo, drammaturgia musicale tra barocco, moderno e contemporaneo) favorisce quel tempo comune – insieme allo spazio comune, la città – necessario a delineare identità comunitaria e nuove prospettive.

IL PASSATO IMMINENTE

Scrive Jean Luc Nancy: “L’arte chiamata contemporanea non è semplicemente quella che si può datare a oggi. È detta contemporanea perché essa non eredita alcuna forma né referenza. Non può essere l’arte del sacro né quella della gloria, né quella di una presunta natura o destino dei popoli. Essa eredita soltanto l’enigma portato da questa parola – ARTE – che fu inventata nel momento in cui cominciarono a sottrarsi tutte le figure di una possibile “rappresentazione”. Essa è contemporanea della propria erranza e della nascita sempre incerta e tremante di forme che sarebbero proprie di un incontro mancato di tutte le proprietà ricevute”.

Pensiamo che il tempo del contemporaneo sia necessariamente discontinuo, l’artista contemporaneo aggiunge, divide, toglie, sostituisce il proprio tempo, lo “sente” nell’intimo, lo mette in relazione con altri tempi, sprofonda nel passato e si tende al futuro. “Nel contemporaneo tutto deve ancora accadere. E insieme è già accaduto” come riflette acuto Marco Belpoliti. E quel che accade è il presente, il nostro presente.

 

Se poi la fisica moderna – soprattutto quantistica – tende ad escludere l’esistenza del Tempo, e ci comunica che l’attimo che viene non è uguale all’attimo che lo precede, e che non c’è linearità ma solo movimento concentrico di atomi che si spostano nello spazio, e che la sensazione è solo soggettiva e solo determinata dal movimento allora la nostra ricerca ha qualche fondamento.

Il continuo rifrangersi nell’opera classica, sia essa letteraria o poetica o visiva, diventa perciò, per noi prassi linguistica, costante nella ricerca estetica, nella metamorfosi di forme e di segni, nel ripetersi della Storia; indagine errante e incerta, balbuziente avrebbe scritto Paul Celan.

Come il Tempo dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo.

Il Grande Teatro del Mondo, è stato realizzato in collaborazione con il Complesso Monumentale della Pilotta. La messa in scena de La vida es sueño di Pedro Calderón de La Barca, prima in forma di auto sacramental contemporaneo e poi nella messa in scena del dramma in tutti gli spazi del complesso, hanno costituito il progetto triennale 2018-2020.

Il Grande Teatro del Mondo
Auto sacramental contemporaneo

Drammaturgia, imagoturgia Francesco Pititto
Installazione, composizione, involucri Maria Federica Maestri
Interpreti Barbara Voghera, Paolo Maccini, Franck Berzieri, Carlotta Spaggiari, Valeria Meggi, Matteo Castellazzi, Sandra Soncini, Lara Bonvini, Valentina Barbarini, Lorenzo Davini, Monica Bianchi e Eugenio Degiacomi (basso)
Musicisti Sara Dieci, Alessandro Trapasso, Luciano D’Orazio, Alessio Zanfardino, Francesco Monica e Francesco Melani
Direzione musicale dei clavicembalisti Maestro Francesco Baroni
Composizione e rielaborazione musicale elettronica Claudio Rocchetti

Cura progettuale e organizzativa Elena Sorbi, Ilaria Stocchi
Comunicazione, ufficio stampa Michele Pascarella
Cura tecnica Alice Scartapacchio
Media video Stefano Cacciani
Produzione Lenz Fondazione

Progetto realizzato in collaborazione con:

Complesso Monumentale della Pilotta, con il sostegno di AUSL Parma – DAI SM-DP, dell’Instituto Cervantes de Milán e con il contributo di MiBACT Ministero dei Beni delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Emilia-Romagna, Comune di Parma, Fondazione Cariparma, Fondazione Monteparma. Partner artistici: Conservatorio di Musica Arrigo Boito di Parma e Associazione Ars Canto G. Verdi Coro Voci Bianche e Coro Giovanile. Partner tecnici: AuroraDomus Cooperativa Sociale O.N.L.U.S, Koppel A.W..
Il progetto è parte integrante di EnERgie Diffuse Emilia-Romagna un patrimonio di culture e umanità e 1618-2018 Quattrocento anni del Teatro Farnese di Parma, manifestazioni insignite del marchio dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018.

Giuseppe Distefano, Artribune, 2 luglio 2018

Suscita un turbinio di emozioni. Fisiche, mentali, spirituali. E di visioni, che aprono lo sguardo e sollecitano risonanze di memorie e di parole, di luoghi e di storie, di passato e presente. Tra vertigini di luce e ombra, tocca il cuore e la mente. Ci avvolge e coinvolge, spazialmente e interiormente, come un grande abbraccio che tutti e tutto contiene


Matteo Brighenti, Doppiozero, 28 giugno 2018

Una volta di più Lenz anima il recondito e l’inconfessato del luogo e ne fa la fonte principale di luce […] Per Pititto e Maestri il monumento farnesiano è la drammaturgia che racchiude nel medesimo spazio-tempo la vita e il sogno, tra periodo storico e contemporaneità, fruizione individuale e memoria collettiva. Un enciclopedico abbraccio delle differenze, delle possibilità dell’essere umano. A occhi chiusi ben aperti.


Matteo Bergamini, Exibart, 25 giugno 2018

È uno spettacolo a tratti commovente e a tratti divertente nei suoi paradossi e nella replica di schemi millenari, nell’ironia delle sorti, nella roulette dei ruoli […] Ed è davvero da brividi poter entrare in questi spazi fuori dagli orari di apertura, intravedere pitture “bruciate” dai fari che illuminano le postazioni degli attori e scoprire ombre fortissime, guardando personaggi così convincenti che sembrano essersi materializzati fuori da questi olii su tela dopo quasi 400 anni.


Alessandro Rigolli, Giornale della Musica, 26 giugno 2018

Una visione in grado di asciugare le malie barocche del luogo letterario dal quale trae origine, come del luogo fisico dove ha preso nuova forma, per restituirci un’alienata evocazione drammaturgica nei cui interstizi, tra variegate e reiteranti proiezioni visive, balenavano affilati gli interventi delle composizioni sonore e rielaborazioni elettroniche di Claudio Rocchetti, con lo straniante controcanto dei diversi clavicembali sparpagliati nello spazio scenico.


Giulio Sonno, Paper Street, 14 luglio 2018

Lenz, pur prediligendo la ricerca estetica, si contraddistingue per una rigorosa connotazione politica, etimologicamente parlando, che diserta la spettacolarizzazione del teatro da tournée e da grandi platee per riattivare la storia dei luoghi abbandonati, delle umanità reiette, della tradizione negletta, senza per questo però sventolare la bandiera rispettivamente della rigenerazione urbana, del teatro sociale o della attualizzazione dei classici.


Daniele Rizzo, Persinsala, 29 giugno 2018

Pititto e Maestri propongono la distorsione di un metateatro quale spazio gravitazione nel quale gli individui si strutturano come particelle elementari, il cui moto è costante, casuale e necessariamente portato all’incontro/scontro, e la cui narrazione non è piatta e continua, ma formata dall’interazione e solo esclusivamente per suo tramite.


Franco Acquaviva, Sipario, 2 luglio 2018

Una prassi registico-drammaturgica che riesce ad operare sintesi di perturbante bellezza, come orientata dall’istinto alchimistico della “coniunctio oppositorum”, in uno sprigionare di energie occulte, latenti […] È un pensiero teatrale di sacra e semplice solennità quello di quest’opera di Calderón-Pititto, che regola l’entrata in scena degli attori con l’apertura di due porte: la culla e la tomba.


Enrico Piergiacomi, Teatro e Critica, 16 luglio 2018

Calderón de la Barca fa della dimensione onirica un percorso di purificazione morale. Pititto e Maestri vi fanno ricorso per proporre un pensiero analogo a quello che Polonio formula osservando la “pazzia” di Amleto: c’è del metodo in quella follia che è la nostra esistenza.


Valeria Ottolenghi, La Gazzetta di Parma, 21 giugno 2018

Evento di estrema raffinatezza espressiva sul piano ideativo e per la realizzazione, tre le tappe principali, «stazioni» di conoscenza come in una rappresentazione sacra […] superbo moltiplicarsi di teatro nel teatro.

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