EXILIUM
✩20 febbraio 2024 – Streaming
da Tristia ed Epistulae ex Ponto di Ovidio
Creazione | Maria Federica Maestri, Francesco Pititto
Traduzione, imagoturgia | Francesco Pititto
Habitat | Maria Federica Maestri
Musica | Andrea Azzali
Interpreti | Valentina Barbarini, Elena Sorbi, Laura Vallavanti, Barbara Voghera
Produzione | Lenz Rifrazioni
Lenz Rifrazioni presenta la prima assoluta di Exilium, creazione di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, musica di Andrea Azzali, opera visuale e performativa ispirata ai Tristia e alle Epistulae ex Ponto – opere dell’esilio di Ovidio a Tomi (l’attuale Costanza) in Romania – realizzato per la parte filmica nei luoghi dove il poeta latino trascorse gli ultimi anni della propria esistenza. Exilium segna un ulteriore sviluppo della ri-figurazione poetica di Lenz Rifrazioni iniziata con Radical Change (2007) e Chaos (2008), creazioni ispirate alle Metamorfosi di Ovidio.
Nel mondo moderno all’esilio imposto si è aggiunto l’esilio volontario – exilium volontarium – praticato per motivi di sostentamento, di fuga da situazioni di guerra e persecuzione etnica, di difesa della propria vita e di quella dei familiari. L’exilium di Lenz Rifrazioni delinea una mappa di rappresentazione umana ed artistica di questa condizione sospesa, di questa irrimediabile atopia; forme di esilio meno evidenti pertinenti ad una geografia umana confinata nella campità urbana, in cui i soggetti sono esiliati da locazioni corporee amate e costretti in environment intristenti: exilia in interiors ed exilia in exteriors possono combinarsi in un’unica esistenza inesistente segnalata esclusivamente dall’essere ex-habit ed ex-habitat.
L’impianto visivo della performance è costituito da un habitat materico in cui sono installate alcune forme domestico-metallico-anatomiche in alluminio, simulacri di una condizione di violenta quotidianità dell’esilio: un tavolo con un libro, un letto, un tavolo con quattro sedie e una barchetta – simbolo del viaggio e delle tante epopee tragiche via mare – sovrastati da quattro schermi seriali che raccontano imagoturgicamente l’esilio rumeno di Ovidio. L’unitarietà dello spazio/habitat che accoglie le varie azioni performative riflette l’unitarietà di un’esistenza calibrata – dalla nascita alla morte – a partire da una condizione ininterrotta ed immanente di esilio e di perdita.
Il lavaggio corporale ed intimo, esposizione massima della fragilità del corpo – legata ad una dinamica di reclusione e di distanza dalla propria terra – delinea una geografia di esilio del corpo e dal corpo costituita da una condivisione violenta della propria intimità. Nell’identità del corpo embrionale si enucleano l’esilio e la separazione di una nuova vita umana dalla propria creatrice: attraverso uno scambio / confronto tra mater et filia si sostanzia la materia angosciante di un’opera modellizzatrice che genera il distacco definitivo. Gli animali, scimmie e tigri senza più natura, esiliati in un interno domestico costruito dall’azione dell’uomo, quasi azzerati nei propri movimenti naturali e selvatici, soffrono l’inadattabilità ambientale agli oggetti metallici dell’habitat, mostrando la distanza claustrofobica tra naturale e artificiale.
Nell’incomunicabilità tra due lovers, costretti all’esilio dalla felicità e dal sesso, risalta la rassegnazione dei corpi alla sconfitta definitiva, all’alienazione come dinamica urbana che struttura i rapporti sociali, ormai destrutturati dalle solitudini domestiche delle periferie contemporanee.
Nell’esilio dalla casa i modellini in legno di sedie, letti e armadi – contenuti in una valigia colma di oggetti– si strutturano come icone materiche di riferimento per recuperare le memorie della terra d’origine, consumate dalle continue partenze e obbligate al contenimento in spazi troppo ristretti. Il letto della vecchiaia, della malattia e della morte accoglie il corpo agonizzante e straziato in esilio dalla vita costringendolo alla fissità definitiva: il lenzuolo metallico copre come un sudario il corpo al termine della terapia oncologica. Nella cantilena angosciante e straziata di una bambina che recita giocosamente una filastrocca polacca di grande intimità, si affaccia con violenza il drammatico esilio del popolo ebraico, individuando nell’infanzia violentata la tragedia assoluta.
Gli elementi metallici dell’habitat, ormai costretti all’agonia della sovrapposizione e dell’oblio, si sostanziano in una decostruzione definitiva: posti una sopra all’altro perdono la potenza simbolica e creatrice, pronti ad accogliere la partenza e l’esilio definitivi. Nell’esilio finale della barchetta metallica, colma di abiti ed oggetti identitari, si affaccia l’orrore plastico del naufragio dei corpi migranti, in bàlia delle acque che sono costretti ad attraversare in fuga da una terra dove non possono più vivere.
Le tracce poetiche ovidiane – scritte durante l’esilio rumeno – attraversano gli scenari performativi dell’opera, recitate dalle performer e da giovani attrici ed attori rumeni di Costanza, fornendo un commentario in forma di lettere, collocate come elementi drammaturgici che sostanziano la condizione di esilio e di atopia comune a tutti gli esseri viventi.