HYPERION #2

SOLO QUANDO LE CASE E I TEMPLI SONO MORTI  LE BESTIE SELVAGGE OSANO NELLE PORTE E PER LE STRADE
Erst, wenn die Häuser und Templel ausgestorben, wagen sich die wilden Tiere in die Tore und Gassen

Continua la feconda collaborazione artistica tra Lenz Fondazione e Paul Wirkus, compositore polacco di musica elettronica, per un nuovo paragrafo ispirato all’Hyperion, il celebre romanzo in forma epistolare opera giovanile di Friedrich Hölderlin. Al poeta, filosofo, drammaturgo romantico tedesco, morto pazzo dopo quasi quarant’anni vissuti rinchiuso nella sua casa-torre di Tubinga, Lenz ha dedicato negli anni passati un percorso di ricerca unico in Italia: dal 1991 al 1994 Maria Federica Maestri e Francesco Pititto hanno infatti curato la mise-en-site della quasi totalità delle opere di Hölderlin, ritradotte appositamente per la scena: le tre stesure de La Morte di Empedocle, Edipo il tiranno, Aiace, Edipo a Colono, Antigone, Hölderlin-Foscolo, L’era dei querci.
Première per Natura Dèi Teatri 015

 

Dopo diverse incursioni drammaturgiche in altre creazioni – Faust 2, Chaos, nel 2014 i registi ritornano all’autore amato, con Hyperion/Diotima una performance visuale e musicale ispirata a Diotima, figura tra le più complesse della mitografia hölderliniana e protagonista del dialogo filosofico-amoroso con il giovane Iperione. Con Hyperion #2 si intende dare più ampio respiro progettuale al lavoro scenico-musicale iniziato lo scorso anno con la residenza artistica di Paul Wirkus e la ripresa di un’importante collaborazione con Adriano Engelbrecht, poeta, musicista, performer, artista versatile e poliedrico, per lungo tempo organico al percorso creativo di Lenz ed interprete nel passato delle diverse scritture sceniche hölderliniane. La nuova creazione prodotta ad hoc per la ventesima edizione di Natura Dèi Teatri si connette nitidamente al tema del festival: nell’Iperione o l’eremita in Grecia si fondono costantemente presente e passato, Germania e Grecia in un continuo scambio reciproco di prospettive e paesaggi. Nella morta Grecia, doppiamente morta in quanto oppressa dai Turchi e immemore degli dèi, Atene appare al giovane Iperione come ‘un immenso naufragio, dopo che gli uragani e i marinai fuggiti via e la carcassa della flotta frantumata giace irriconoscibile sul banco di sabbia’. Ma lo spirito della città era già morto prima che i distruttori percorressero l’Attica ‘solo quando le case e i templi sono morti, le bestie selvagge osano inoltrasi oltre le porte e nelle strade (…). E così prosegue ‘mi colpì l’antica porta attraverso la quale si usciva dalla città antica verso la nuova (…) ora questa porta sta là muta e vuota, come una fontana disseccata, dalle cannelle da cui uscivano gioiosi zampilli e chiare, fresche acque (…). Il sacro caos di Atene.’’ L’eco del presente rimbomba assordante tra le pieghe di un testo profetico.

dall’Hyperion di Friedrich Hölderlin
Musica Live electronics | Paul Wirkus
Drammaturgia e imagoturgia | Francesco Pititto
Installazione | elementi plastici | regia | Maria Federica Maestri
Performer | Adriano Engelbrecht, Valentina Barbarini
Produzione | Lenz Fondazione per 20° Festival Natura Dèi Teatri 2015

– Hyperion/Diotima – Natura Dèi Teatri 2014. L’arte, utile passione
di Daniele Rizzo, Persinsala.it_19 dicembre 2014

Dall’Hyperion di Friedrich Hölderlin, il personaggio del celebre Simposio è protagonista della nuova creazione firmata da Lenz Rifrazioni e dal musicista polacco Paul Wirkus. Straordinaria manifestazione del pensiero platonico (fu colei che avviò Socrate al vero amore ideale) e polo femminile dello scambio epistolare con l’amato Iperione nel romanzo di Hölderlin, Diotima è «figura tra le più complesse della mitografia hölderliniana». Maria Federica Maestri e Francesco Pititto tornano dunque a indagare il «poeta, filosofo, drammaturgo romantico tedesco» dopo «la messinscena delle tre stesure de La Morte di Empedocle, Edipo il tiranno, Antigone, Hölderlin-Foscolo, L’era dei querci» tra 1991 e 1994. Un rinnovato interesse che, non a caso, avviene all’interno del progetto triennale del Festival Natura Dèi Teatri ispirato a «suggestioni filosofiche tratte dall’opera di Gilles Deleuze», perché la tematica della differenza, dell’ideologica concezione di identità e ripetizione, del tentativo di rivolta contro un destino dialettico dagli esiti omologanti e laceranti, è la cornice concettuale ideale per porre la fondamentale questione di «indagine approfondita sui linguaggi della creazione contemporanea». Le sonorità elettroniche dal vivo di Paul Wirkus contribuiscono a dare corposa densità all’ambientazione di un allestimento splendidamente semplice e dall’impatto visivo esemplare per come riesce a restituire nel segno (scenografico) la perfetta coincidenza di significato e significante, avvalorando così la piena potenza dell’affermazione nietzschiana «non esistono fatti, solo interpretazioni» e la radicalità di una intuzione che riconosceva all’interpretazione (inter)soggettiva la capacità di plasmare le coscienze e disciplinare i corpi. Una intuizione ribadita quasi esplicitamente in scena («Dimentica il tempo, e non contare i giorni della vita. Che cosa sono i cento anni di fronte all’istante in cui in due ci sentiamo e solo dopo ci tocchiamo») e che ancora oggi risulta attuale (dunque storicamente inattuale), pur svilita nell’idea che – parafrasando quella citazione – esistano solo opinioni e non argomentazioni. Il telo rotondo, bianco e teso che Valentina Barbarini attraversa concentratissima, mentre declama frammenti ritradotti dall’Hyperion, è la rappresentazione sublimata della pienezza dell’essere parmenideo in tutta la sua paradossalità (empirica). Indivisibile e perfetto, immobile e identico (per la ragione), appare (ai sensi) agìto da una incongruenza insanabile per la presenza di quell’umano in divenire che, infatti, vedremo fisicamente e non proiettato. Dunque concreto, fuori e non dentro (se non come ombra), perché al suo interno potranno unicamente scorrere le immagini di una Natura da cui l’uomo – insopportabile «uva acida … in mezzo alle dolci uve» – risulta bandito. Maieutica ed erotica, potenza creativa dell’arte e della natura in conflitto con un homo che, proclamandosi sapiens, ha dimenticato la propria animalità, in Diotima / Hyperion di Lenz vediamo convergere la ricerca drammaturgica con l’indagine a favore di una rinnovata restituzione visiva di dilemmi esistenziali primordiali: l’anelito di infinito che tormenta strutturalmente l’essere umano e il suo inevitabile naufragio («Ma l’uomo è dio appena uomo! E se è un dio, allora lui è bello! [..] Ma le mie braccia erano sempre più stanche e l’angoscia mi trascinava giù, inesorabile»); la brama di una panteistica armonia («là stavo io, la tua. Un fiore tra i fiori») e la percezione della sconfitta storica nella modernità («Difenderci dalla mosche sarà la nostra futura occupazione. Rosicchiare le cose del mondo, come bambini. Invecchiare tra i vecchi è la cosa peggiore. Partono dal cuore e tornano al cuore, le vene»). Diotima è allora il simbolo intimamente contraddittorio del rischio del disimpegno e della solitudine («Che m’importa del naufragio del mondo! Non conosco altro che la mia isola beata»). Un rischio che, visto all’interno di questo specifico contesto artistico, «un edificio industriale della periferia storica di Parma» dove la cultura oltre a resistere continua a darsi, sembra affatto avvilire, quanto dispensare forza e passione. Esattamente come quel canto di speranza e bellezza che fu Diotima per Iperione. Uno spettacolo di una coerenza disarmante.

http://teatro.persinsala.it/hyperion-diotima-natura-dei-teatri-2014/12540

– Natura Dèi Teatri. Le contaminazioni di Lenz Rifrazioni da Verdi a Manzoni
di Andrea Alfieri, Krapp’s Last Post_13 gennaio 2015

[…] Sempre in ambito di sonorità Natura Dèi Teatri non ha mancato di concedere un elaborato excursus nella musica elettronica e sperimentale, proponendo i live set di Andrea Azzali, storico creatore delle musiche di Lenz, in “Corpo Sacro”, appositamente traslocato negli spazi di una chiesa seicentesca, e la collaborazione artistica tra Paul Wirkus, acclamato compositore di origine polacche dedito alla fine improvvisazione minimalista, e lo stesso Lenz Rifrazioni, in “Hyperion/Diotima”, lavoro ispirato al romanzo epistolare di Friedrich Hölderlin, drammaturgo tedesco a cui Lenz ha dedicato ai suoi esordi un lunghissimo percorso di ricerca. Proposte musicali dove comunque l’intreccio tra composizioni sonore e performance è sempre sedimentato in un confine espanso e contaminante.

http://www.klpteatro.it/natura-dei-teatri-le-contaminazioni-di-lenz-rifrazioni-da-verdi-a-manzoni

– Il romanticismo tedesco secondo i Lenz
di Laura Bevione, Amandaviewontheatre_16 dicembre 2014

[…] I Lenz sono tornati a occuparsi di un autore, Friedrich Hölderlin, che nel passato più volte hanno frequentato. Il testo prescelto è un romanzo epistolare giovanile, Hyperion, che lo scrittore tedesco dedica a Diotima – secondo la letteratura classica la donna amata dallo sfortunato Iperione – identità dietro la quale si cela la donna di cui egli era innamorato. La compagnia parmense sceglie di affidare a un’unica attrice – Valentina Barbarini, presenza possente e fortemente emotiva – le parti di entrambi gli amanti e di far dialogare la recitazione con la musica potente e ossessiva composta ad hoc da Paul Wirkus, musicista elettronico polacco che da qualche tempo collabora con Lenz, e con le immagini che scorrono su uno schermo circolare sul fondo del palco. La parola – struggente e appassionata – è amplificata dall’andamento antinaturalista e ardente della recitazione così come dal ritmo ansioso della musica, elementi ai quali si contrappongono soltanto in apparenza i paesaggi e i particolari naturali che si succedono sullo schermo. Romanticamente, la natura è specchio non deformante bensì veritiero dell’anima – anziché dell’aspetto esterno – degli uomini. Uno spettacolo, come anche Adelchi, che Amanda spera che molti riescano a vedere.

Il romanticismo tedesco secondo i Lenz

– Iperione e Diotima si fondono per Lenz
di Mariagrazia Manghi, Gazzetta di Parma_15 dicembre 2014

Iperione e Diotima, l’eroe e la sua amata, diventano un essere solo nella nuova creazione di Lenz Rifrazioni realizzata ad hoc per Natura Dèi Teatri 2014, ispirata all’Hyperion di Friedrich Hölderlin. È Valentina Barbarini ad affrontare in scena la sfida di un testo che riprende frammenti dell’opera epistolare del romantico tedesco. L’attrice appare annunciata da rintocchi martellanti, come un’ombra da dietro un grande schermo circolare. Vestita e incappucciata è Iperione per la prima parte della performance; senza copricapo ripete la stessa sequenza di parole e dà voce a Diotima. La scelta drammaturgica ha privilegiato la riflessione tragica sull’esistenza e il significato dell’uomo e del suo agire, “una cosa che bolle e fermenta come un caos, marcio come un albero che mai riesce a diventare maturo”. Un viaggio nel pensiero del poeta lirico tedesco sospeso tra classicismo e romanticismo e anche nella sua follia. Di Hölderlin torna prepotentemente il tema della celebrazione panteistica della natura, espressione di una totalità in cui l’uomo si perde e si ritrova, dei vagheggiamenti d’amore e del dolore, vera dimensione della realtà: “Se il vostro giardino è pieno di fiori, perchè il suo profumo non arriva a me?”. Una concezione tragica in cui si consuma l’estrema opposizione dell’anima romantica, “volevo costruire un tempio al Dio dell’entusiasmo, ma le mie braccia erano sempre più stanche e l’angoscia mi trascinava giù inesorabile”. La presenza vocale di Valentina Barbarini è potente. La musica, una creazione elettronica del musicista polacco Paul Wirkus, è una pulsazione ritmica ossessiva, a tratti incalzante, che accompagna più che dialogare. L’impatto visivo è, come sempre nei lavori di Lenz, curato e sofisticato nella scelta delle immagini e negli accostamenti di colore. Sullo schermo scorrono e si sovrappongono alberi, foglie, insetti, un tutto a cui l’uomo potrebbe attingere per guardare all’infinito, risolto in un brulicare affannosa che rammenta l’inesorabile decomposizione. Una visione tragica, la consapevolezza di una perdita del senso del divino e dell’armonia che Lenz fa sua: “Che mi importa del naufragio del mondo. Non conosco altro che la mia isola beata”.

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