Jean Genet Da Calderòn a Genet. Drammaturgia Contromano
“Quanti luminosi e canori alessandrini Genet insinua nelle sue scene: Pasolini, sia detto di passaggio, lo ha ben compreso, come dimostrano certe pagine “parigine” di Alì dagli occhi azzurri ma più che altro quelle di Teorema e Calderón. Così questa materia – nel senso anche di cosa secreta e di pus – nasce dalle viscere e dal calore del sangue ma subito si rapprende, si congela sulla pagina. (…)”
Così nel 1981 Franco Fortini chiude la sua prefazione a “Le Balcon” di Jean Genet. Per indagare la magnitudine indicibile della parola barocca di Calderón de la Barca abbiamo letto come libri fonte di eredità poetica e morale proprio Pasolini e Genet, le cui scritture colme di fioriture barocche e fantasmagorie pre-moderne, secernono ancora il pus nato dalle viscere e dal calore del loro sangue. Solo temporalmente lontani, Calderón e Genet ci guidano nell’oscurità dell’apparenza, nel labirinto dei sogni, nella nebbia delle illusioni che si infrangono contro la realtà della morte di Dio-uomo. Preda costante della paura dell’abbandono, l’umano del Gran Teatro del Mundo sa che culla e tomba sono identica forma del suo destino. La religio negativa di Genet è forse la silhoutte trionfale della paura che afferra l’uomo sulla soglia della fine della festa. Ricorrono venti anni dalla scomparsa del grande autore francese e venti anni fa Lenz Rifrazioni dava inizio al suo cammino artistico: coincidenza di nascita e morte. L’arte è via per la resurrezione di una bellezza tenera e crudele.
Jean Genet (Parigi, 19 ottobre 1910 – Parigi, 15 aprile 1986)
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