H  1 | 2 | 3 
da Hamlet di William Shakespeare



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H 1|2|3 sono le prime tre sequenze visuali e performative di un ampio progetto, che si svilupperà tra il 2009 ed il 2010, in cui la drammaturgia si pone come corpus di valutazioni analitiche e materico-estetiche a partire dall’Hamlet di William Shakespeare. Il progetto biennale è realizzato in collaborazione con AUSL di Parma_Dipartimento di Salute Mentale, con l’Agenzia Disabili del Comune di Parma e la cooperativa sociale Domus di Parma. Questa fase dI lavoro, avviata dopo la presentazione di H=277 lb (HAMLET=277 LlBBRE) nel mese di marzo al Teatro San Martino di Bologna, vede come interpreti Valentina Barbarini, Guglielmo Gazzelli, Paolo Maccini, Vincenzo Salemi, Elena Sorbi, Elena Varoli, Barbara Voghera, già interprete dello spettacolo Ham-Let (1999) di Lenz Rifrazioni.

In H 1|2|3 la storia del Principe Amleto è riletta e ‘valutata’ attraverso un’indagine visiva, materica e di riflessione fisica sui corpi degli interpreti che entra nel linguaggio shakespeariano per definire un nuovo orizzonte drammaturgico concreto costituito a partire dalle esistenze psichiche e materiali degli attori: il linguaggio circoscrive parole nuove che rendono vive la sofferenza e la tragicità di Hamlet e dell’esistenza stessa, così come della morte che sembra circoscrivere ogni azione umana. Il fantasma del Re, padre di Amleto, costretto a muoversi lentamente e a maledire la sua stessa sorte tragica con parole crudeli, è inscritto all’interno del corpo stanco ma pieno di forza visionaria dell’interprete che sembra scivolare lentamente al di fuori del personaggio shakespeariano fondando uno spazio poetico autonomo inciso nella sua materialità che nell’orrore della morte scolpisce un nuovo ritratto scenico.

Nell’incontro con il fantasma del padre il Principe Amleto, ornato da un cappellino di metallo e da un collare borchiato come incastonati nel corpo dell’interprete, colma di parole ossessive il dramma incestuoso della madre e il gesto omicida dello zio cercando nella visione violenta di quelle immagini la sicurezza della vendetta. Ofelia, ferita dalla pazzia nella sua bellezza, costretta alla fissità di un collare ortopedico, restituisce ad Amleto tutte le parole e le cose che li avevano legati in amore, segni materici di un cantico d’addio che si concentra in un gesto finale ferito da tragicità e sofferenza. Muovendosi sulla scena come elementi meccanici Amleto e Ofelia conservano nella memoria tutto il dolore della separazione da se stessi e dal loro amore.