Phoenix Death-Birth

da Le Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone

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Performance del progetto RADICAL CHANGE

“Il nido sepolcro del padre ora ricopre il capo della giovane Fenice. Lei prende con sé la culla e volando sull’alito dell’aria, alle porte sacre del tempio della città di Iperione là la depone. Poi, anche lei, dopo tanto muore”

In apertura il primo dei nove paragrafi di Radical Change, Phoenix Death_RC_01, ovvero la metamorfosi di Phoenix, l’uccello sacro che nasce da se stesso. La sala Majakovskij si trasforma in uno spazio nuovo, fatto di totalità e contaminazione dove la rappresentazione si fa non convenzionale, liquida e trasparente, anti-materica e anti-monumentale.

La performance di Valentina Barbarini, attrice che mostra se stessa in una potenza frammentata e fragile e già nelle vesti della Fenice nel ‘Principe Costante’ di Pedro Calderón de la Barca (regia di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto), segue il percorso leggendario della Fenice, l’uccello sacro che giunto all’età di 500 anni depone le sue membra in un nido di incenso e cannella, costruito in cima ad una palma, e poi spira. Dal suo corpo nascerà poi un’altra Fenice che trasporterà il suo nido nel tempio di Iperione, il Titano padre del Dio del Sole.

“Questa performance-sottolinea Maria Federica Maestri- segnala pienamente la fisionomia del nuovo progetto artistico di Lenz Rifrazioni. Se dall’occhio esterno l’offerta performativa è stata vissuta con totalità e mistero, dal punto di vista interno si è trattato di un passaggio rivelatore per la relazione profonda che si è stabilita tra la performer (Valentina Barbarini) ed il suo ‘creatore-suddito’. Ponendosi in uno stato di soggezione/sudditanza, l’artista dà forma alla sua dismissione autoriale lasciando che sia l’interprete iconico della metamorfosi ad imporsi come soggetto imprescindibile della visione artistica: nessuno potrebbe essere Phoenix se non V.B.

Questa a-funzionalità direttiva non si sostanzia in rapporto di ac-costanza attoriale (l’identità dell’interprete è descrittivamente connessa alla specifica funzione drammaturgica) ma si dispone funzionalmente al contrario in una piena coincidenza tra soggezione e creazione. L’accento creativo viene inciso nell’opera dall’offerta iconica e psichica del performer: nel corso del lavoro si capirà come si riproducono queste due generatrici tensive, creazione e sudditanza, e scomparendo dal lessico artistico di M.F.M. la funzione registica quali mutazioni formali si determineranno nell’opera.

 

Il prescindendo dal verbo direttivo il soggetto restituisce, con più ardore, l’identità specchiata dell’icona: non l’attore che incarna una drammatica preesistente, ma l’assoggettato creativo che si mescola in reazione chimico-linguistica al corpo psichico del performer. Il processo avviene con complessità semplice: il rapporto si stabilizza in perfezione di corrispondenza, come se l’interprete contenesse in sé le segnaletiche ricercate da M.F.M. I punti di contraddizione si dissolvono nella decostruzione metamorfica in totale coincidenza di sentimento figurale. Nel segmento infantile, quello in cui la parola sfugge povera e pietosa (il saluto al padre, la paura della morte), si ripropone, depauperato dell’elequenza della materia drammatica calderoniana, il tema drammaturgico della morte del padre/autore/testo. L’uovo silente, l’ovulo trasparente si è schiuso per un attimo e in esso ogni soggetto ha ritrovato la propria microevidenza emozionale”.

 

 

 

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