Cenerentola
da Aschenputtel dei Fratelli Grimm

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Dalla Tetralogia delle fiabe dei Fratelli Grimm

 

Prima opera della tetralogia dedicata da Lenz Rifrazioni alle fiabe dei Fratelli Grimm, Cenerentola è la raffigurazione poetica dell'ordine naturale-morale del mondo.

Nel testo di Perrault le viene dato il nome prima di Culincenere e poi di Cendrillon. In quello dei Grimm Aschenputtel e in quello di Disney, Cinderella. Già nel nome s’intende un diverso suono di appartenenza ai differenti mondi delle cose, dei vegetali, degli animali e degli esseri umani.

Nella versione tedesca l’apparente crudeltà delle azioni mantiene intatta la propria appartenenza al mondo naturale, e così facendo prende le distanze da distorte interpretazioni troppo "umane". Trattandosi poi di fiaba le categorie dell’orrido, del sanguinolento e del mostruoso subiscono inerti la metamorfosi della narrazione trasmutandosi in leggerezza e incanto, stupore e beatitudine. Come per le marionette la forza di gravità non costringe troppo a toccar terra. E se capita è solo per tornare in aria. Allora la matrigna, il rametto, il cece e la lenticchia, le sorellastre e le uccellette, l’Angelo della Cenere e il suo Cavaliere, la minuscola scarpina d’oro, le vasche di plastica e la sala da ballo in pvc diventano quel Tutto in Uno che solo la Scena può ancora tenere insieme. Come una Natura non ancora Morta.

La tortorina può allora fare giusta giustizia: può beccare prima un occhio a ciascuna sorella e, poi, anche l’altro perché sia più chiaro il concetto: a chi non vede la vera bellezza, anche se coperta da spessi strati di cenere, non servono gli occhi per continuare a vedere. E’ un gran finale crudele ma, infine, giusto. Per i Grimm gli elementi che compongono il Naturale, organico e inorganico – animali, piante, case, ruscelli, rocce, uomini – sono, come in un quadro di Bosch, protagonisti alla pari di un paesaggio comune e di un comune ordine morale.

Nella partitura musicale di Cenerentola l'artificio elettronico trasforma la voce narrante della madre in cinguettii di colombine e in ticchettii di ceci, per cedere il posto al ballo fiabesco architettato su un multisonoro double bachiano.


Note di regia: il movimento di Francesco Pititto

Tutto inizia e tutto finisce, per ricominciare. Il movimento è circolare come la fiaba. Tutto si svolge come deve essere svolto, come una cerimonia orientale; la precisione, la ripetizione, la leggera variazione che fa proseguire il moto lento dell’andare, la discreta curvatura che porta, infine, a raggiungere il punto di partenza.
Il prologo della morte della madre – identico nelle due fiabe – avvia il movimento ritirandosene subito, non facendone parte. Inizia un processo, è origine ma, rappresentando una fine, non prosegue oltre l’inizio.
La filastrocca introduce la forma, il ritmo e la direzione. Il tedesco l’intenzione. Da qui parte il giro in tondo.
Tutto scorre sulla lama circolare che delimita, da un lato, la verità della verità e, dall’altro, la finzione della finzione.
Leggero è il passo, in punta di piedi. Coreografia di mani, piedi, ceci, sangue e sentimenti.
La fine è come l’inizio, non fa parte della giostra che continua a girare.
Anzi, proprio lì, in un punto preciso la fa fermare; proprio lì, dove tutto potrebbe ancora cominciare.

 

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