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Scarpette Rosse


Progetto Andersen_ da De røde sko di Hans Christian Andersen


Nello spazio scenico, la funzione sacra della croce si fonde con la dimensione intimistica della camera, in un rapporto di trasparenza diamorfica in cui la vanitas di Karen svela la sua inevitabile natura penitenziale. Protagonista della performance la straordinaria attrice_danzatrice Sara Monferdini, luccicante presenza_assenza delle opere di Lenz.

Nella sua via crucis, cammino-calvario drammatico, Karen attraversa sei camere di duplice capacità peccaminosa e remissoria, calzando la doppia lingua del flagello, il legno e il sangue. Sigillata la bocca, il verbo del piacere è solo pensiero e la bellezza del suo loto d’oro genetico – piccola Lolita di Nanchino – inebria e confonde i pudori di uomini e donne senza più desideri.

Il progetto

Progetto Andersen


Adottato da sempre come metodo di ricerca, lo scivolamento kleistiano di un autore nell’altro (da Kleist a Shakespeare, da Shakespeare a Calderón de la Barca, da Goethe ai Grimm) tramite elementi drammaturgici che già preannunciano l’opera futura, ha condotto Lenz Fondazione (che nel 2005 si chiamava ancora Lenz Rifrazioni) alle due fiabe di Hans Christian Andersen: Le scarpette rosse (De røde Sko) e La sirenetta (Den lille Havfrue). Dalla messa in scena della tetralogia dei Grimm – Biancaneve, Cenerentola, Cappuccetto rosso e Pollicino - e dal triennale progetto Faust hanno avuto origine le motivazioni estetiche profonde della traduzione scenica delle due opere di Andersen, tra le più conosciute al mondo.


Produzione inclusa nelle Celebrazioni Ufficiali Mondiali della Fondazione Hans Christian Andersen 2005


Dalle rosse scarpette indossate da Margrete nell’Urfaust di Lenz Fondazione e provenienti dalla fiaba dei Grimm Sotto il Ginepro, alla sequenza dei “delfini, alghe e balene” nel “Faust II”, fino alle ombre/uomo/lupo del Cappuccetto Rosso, i riferimenti profetici alle fiabe di Andersen erano già presenti nelle drammaturgie precedentemente esplorate. La presenza di grandi attori sensibili negli allestimenti teatrali esalta e perfeziona tale energia tragica, trascinandola oltre il margine della scena, oltre la soglia del sentimentale. Il mistero della mutazione, della metamorfosi, della differenza diventa allora esperienza soggettiva rievocata e fatta risorgere come nuova epifania del mondo.



NEVER IDEM

Il corpo della fiaba non è oggetto inerte di una percezione sensoriale stabile, ma categoria transitiva dell'esperienza estetica del vivente. Formae mutatio. Il contorno fisionomico non si confina nella deputazione rappresentativa di se stesso, ma per desiderio di rinascita è tratto mutante dell’azione trascendente dell’estasi sentimentale. Il corpo fiabesco non perpetua l’immagine dell’installazione cognitiva ma si sacrifica al verbo dinamico della drammatizzazione metasifica. Perdendo la limitazione emotiva del suo apparire il corpo si dispone al martirio espressivo della sua essenza organica. Il momento supremo della fine si manifesta con la perdita dei fluidi corporali; il corpo della fiaba inizia il suo dissolvimento lasciando come testamento organico, una nuova silhouette psico-fisica. Schiuma d’anima? La forma dell'estasi benedetta dalla prova è all'opera nel mutare del corpo nato non governato dalla forma perdurante regina nella storia. Nella fiaba dove troneggia il tempo della perdita, la sventura degli agnelli con due teste non appare la vetrina del veduto, ma il vetroso potere della diamorfosi corporale.

Introduzione

Nello spazio scenico di Scarpette rosse la funzione sacra della croce si fonde con la dimensione intimistica della camera in un rapporto di trasparenza diamorfica in cui la VanItas di Karen svela la sua inevitabile natura penitenziale. Nella sua via crucis, cammino-calvario drammatico, Karen attraversa sei camere di duplice capacità peccaminosa e remissoria, calzando la doppia lingua del flagello, il legno e il sangue. Sigillata la bocca, il verbo del piacere è solo pensiero, e la bellezza del suo loto d’oro genetico - piccola Lolita di Nanchino - inebria e confonde i pudori di uomini e donne senza più desideri. Orfanella destinata al risorto appettito di vecchie signore, fanciullino effeminato per le misure emozionali di calzolai eleganti, ragazzina pronta a ricevere il tocco lubrico e cattivo di soldati deformi, Karen evoca la Vertigo di passioni mute nascoste oltre la porta del cielo morale. Colpisce e distorce la sacralità dei sacramenti intonando la veglia funebre del pudore per le madri agonizzanti e innalzando a mistero eucaristico la sua minuscola fede rossa. Mutato il piacere in pena, risveglia in sé la passione di pietà e perdono, trasfondendo nel finale della morte la grazia della punizione in estasi di angeliche bionde penitenze.


TEMA_LA CROCE E LA CAMERA


LE COSE CHE SEGUONO L’UNO, IN QUANTO EFFETTI, SONO IN ALTRO. IN QUESTO SENSO, RISULTANO DELIMITATE DA UNA FORMA.

LE COSE DUNQUE CHE SONO IN QUALCOSA, SONO LÁ DOVE SONO; MA QUANTE NON SONO IN UN DOVE, NON C’È LUOGO DOVE NON SIANO.

PLOTINO


NE EVACUETUR CRUX CHRISTI_AFFINCHÉ NON SIA RESA VANA LA CROCE DI CRISTO.

BLAISE PASCAL


POCO DOPO ELLA GLI FECE ATTRAVERSARE UN GRANDE ARCO DI PIETRA: SULLA VOLTA PAO-YÜ LESSE QUESTA ISCRIZIONE: “REGNO ILLUSORIO DEL GRANDE VUOTO”; E SUI PILASTRI A DESTRA E A SINISTRA: “DALL’APPARIRE L’ESSERE, DALL’ESSERE L’APPARIRE; DAL NULLA VIENE L’UNO, DALL’UNO VIENE IL NULLA.

TS’AO HSÜEH-CH’IN


SVOLGIMENTO_LIGNEA TRASPARE LA MIA PENA ROSSA


LA VANAGLORIA. L’ammirazione guasta ogni cosa sin dall’infanzia: “oh, com’è ben detto! come ha fatto bene! quant’è giudizioso!” ecc. I fanciulli di Port_Royal, ai quali si ricusa questo pungolo di emulazione e di vanagloria, cadono nell’indolenza.

BLAISE PASCAL


CAPACITÁ E VOLUMI PENITENZIALI:


N. 1 CAMERA DELLA FOLLIA AMOROSA.

N. 2 CAMERA DELLA GELOSIA.

N. 3 CAMERA DELLE LACRIME MATTUTINE.

N.4 CAMERA DEI SOSPIRI NOTTURNI.

N. 5 CAMERA DELL’AFFANNO DI PRIMAVERA.

N. 6 CAMERA DELL’AFFLIZIONE AUTUNNALE.


APOCALISSE_6,15 I sette sigilli

6. Quando l’agnello aprì il primo dei sette sigilli, udii in visione il primo dei quattro viventi dire come con voce di tuono: “Vieni!”


SALMI_109 Salmo del maestro dei cantori di DavÍd

Dio dei miei canti non stare muto/ una bocca malefica è aperta contro di me/ una doppia lingua mi parla


LE APOCALISSI GNOSTICHE_CODICE V, 17,19 – 24,9

Essi la posero alla porta ( del quarto cielo. E gli angeli la frustavano.

L’anima parlò dicendo: “Che peccato ho commesso nel mondo?”


CARL THEODOR DREYER_ DIES IRAE, 1943

ROBERT BRESSON_MOUCHETTE, 1967

KENJI MIZOGUCHY_LA VITA DI O-HARU, 1952

STANLEY KUBRICK_LOLITA, 1962


L’ATTORE DAN<IL PIEDE DEL FIORE DI LOTO

Il dan e i “piedi di legno”

Uno dei ruoli nel teatro cinese era quello dan, ovvero quello degli attori che interpretavano i personaggi femminili.

Nel 1777 infatti, per ordine imperiale, era stato vietato alle donne di recitare assieme agli uomini (esistevano però alcune compagnie solo femminili), un divieto che permase fino al Novecento.

Dovendo comportarsi come le donne, questi attori ricevevano un insegnamento particolare.

La prima cosa riguardava l’educazione della voce, dovevano recitare e cantare in falsetto (la “falsa voce”, jiasangxi), con .tono sottile e .un po’ acuto; dovevano quindi imparare a muovere le mani con delicatezza, a sorridere a “bocciolo di rosa” (yingtao xiaozui) e via di seguito.

Tuttavia la cosa più penosa per i giovani (si trattava sempre di bambini o adolescenti) che interpretavano ruoli dan era il camminare. Alle donne cinesi di rango venivano in genere storpiati e fasciati i piedi per renderli più piccoli, fino a misurare sette o otto centimetri.La deformazione, che iniziava in età infantile, consisteva nel ripiegamento di quattro dita all’indietro, sotto la pianta del piede, lasciando sporgere solo l’alluce.

L’uso, che risaliva all’epoca Song (960-1279) si voleva dettato da canoni di bellezza e di erotismo.

Le dame cinesi camminavano pertanto sempre in modo insicuro, a piccoli passi, ondeggiando e spesso sostenute: alto era il loro prezzo nei contratti di nozze combinate se possedevano i piedini detti “fiori di loto” (sancun jinlian). Questa tradizione decadde ai primi del Novecento.

L’imitazione delle donne portò dunque l’attore a camminare su degli speciali zoccoli o “piedi” di legno (qiaoxie) che tenevano l’estremità in verticale, quasi sulla punta: in tale posizione i piedi venivano fasciati e infilati in minuscole scarpine. L’insolita andatura creava deformazioni alla spina dorsale e al bacino.

Naturalmente l’impiego di attori dan, che erano generalmente ragazzini graziosi ed effeminati, favorì la diffusione dell’omosessualità e della prostituzione che, grazie all’uso dell’oppio, provocarono episodi scandalistici, a volte anche di sangue, per gelosia o tradimento.

Se l’attore era in fondo alla scala sociale, l’attore dan era, se possibile, catalogato ancor peggio: oggi favorito di questo o quel potente, vezzeggiato come diva del momento, munito di carrozze e cavalli, come nulla l’indomani poteva finire alla gogna e portato in giro per le pubbliche vie con il cartello di “corruttore dei costumi”, oppure, sfregiato, cadere nei peggiori bordelli della città o espulso dalla stessa.

Crediti

from De rede Sko by Hans Christian Andersen

testo | imagoturgia || Francesco Pititto

regia || Maria Federica Maestri

scene | costumi | elementi visivi || Maria Federica Maestri

musica || Andrea Azzali

interpreti || Sara Monferdini | Matteo Ramponi |Elisa Orlandini | Sandra Soncìni

disegno luci || Rocco Giansante

realizzazione costumi || Manuela Barigazzi

produzione || Lenz Rifrazioni

durata || 70 minuti

Video

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