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Rosa Winkel

Triangolo rosa


Progetto teatrale e visuale permanente sul tema della Resistenza e dell’Olocausto


Nel corso del regime nazista tedesco, numerose persone omosessuali furono internate in campi di concentramento insieme a Ebrei, Rom, bambini e adulti con disabilità, oppositrici del regime, persone comuniste. A distinguere le persone omosessuali dalle altre prigioniere era, nel caso degli uomini, un triangolo rosa cucito sulla divisa all’altezza del petto; nel caso delle donne, un triangolo nero. Si è soliti riferirsi allo sterminio degli omosessuali nei campi di concentramento nazisti come Omocausto. Si stima che le persone omosessuali internate nei lager siano stati almeno 50.000.

Il progetto

RESISTENZA E OLOCAUSTO

Progetto teatrale visuale permanente sul tema della Resistenza e dell'Olocausto


A partire dai primi anni Novanta Lenz ha dato forma performativa ad un’Arte Non Serena, confrontandosi con una definizione del poeta ebreo rumeno Paul Celan che sancisce l’impossibilità della parola dopo il dramma della Shoah, come azzeramento imposto dal paradigma della morte collettiva.

Il tema delle tragedie accadute durante il periodo nazifascista è comparso in modo ricorrente nella poetica di Lenz, con varie versioni di Bruno Longhi (1991, 2005, 2015), e con Viale San Michele. Prima che si imbianchino le cantine (1990, 2021).


Dal 2015 Lenz Fondazione ha reso permanente il suo storico progetto di ricerca drammaturgica pluriennale, continuando a produrre annualmente una serie di opere performative contemporanee, seminari e giornate di riflessione pubblica dedicati ai temi della Resistenza e della tragedia europea durante le dittature nazi-fasciste e realizzati in collaborazione con ISREC Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Parma.


Nel triennio 2016-2018 l’indagine artistica di Lenz sui temi della Resistenza e dell’Olocausto si è sviluppata con la realizzazione di tre opere installativo-performative:


2016 KINDER [Bambini]

Sulla tragedia dei bambini ebrei di Parma vittime dello sterminio nazista.

2017 AKTION T4

Sul programma nazista di eutanasia per la soppressione dei bambini nati con malformazioni o portatori di handicap.

2018 ROSA WINKEL [Triangolo rosa]

Sulla deportazione e sterminio degli omosessuali nei campi di concentramento nazisti.

po.

Introduzione

Note introduttive di Francesco Pititto


Già nel 1934 Lévinas scriveva: «La filosofia di Hitler è rudimentale. Ma le potenze primordiali che vi si consumano fanno esplodere la fraseologia miserabile sotto la spinta di una forza elementare. Destano la nostalgia segreta dell’animo tedesco. Ben più che un contagio o una follia l’hitlerismo è un risveglio di sentimenti elementari».

Anziché la libera ricerca di un altrove, di un nuovo mondo razionale o di un luogo divino per l’uomo e la donna occidentali, l’hitlerismo ha incatenato la verità a una comunità di sangue, a un’immaginaria unità di razza, che inchioda i suoi membri ad una condizione immobile.

Il principio è l’identità biologica: l’io, nell’hitlerismo, viene pensato come coincidente e identico al corpo biologico, vincolo imprescindibile di una comunità di sangue, di corpi biologici che si identificano e si riconoscono in un “noi”. Momento, quindi, di glorificazione per gli uni e di dannazione per gli altri – in primo luogo gli ebrei – anch’essi inchiodati all’identità biologica che è loro attribuita. Poi tutti gli altri non appartenenti, o nocivi, alla purezza o alla crescita del “noi”. L’identità biologica, le caratteristiche ereditarie e somatiche, quindi il corpo e la diversità tra i corpi diventano elemento di dominio della razza destinata. Il corpo del “noi” assume forme e caratteristiche identitarie.

Il nazismo non concepisce il corpo come corpo dell’individuo, ma sempre riferito ad un’entità collettiva, il Volk popolo inteso in senso etnico-razziale. È il Volkskörper, il corpo sociale, il corpo della nazione Volksgemeinschaft, comunità nazionale che deve avere buona salute ed essere fortificato, temprato alla fatica e alla sofferenza, per dare dimostrazione di superiorità razziale, ma anche per rigenerare la razza stessa.

“Dein Körper gehöhrt dir nicht!” il tuo corpo non ti appartiene. Lo sport e l’attività fisica è: Lebenskampf, lotta per la vita.

Metafora del soldato invincibile e personificazione dell’uomo ariano perfetto il campione sportivo del Reich attira su di sé tutte le aspettative di un regime che ha bisogno del corpo dell’atleta per esibire la prova della propria superiorità biologica.

Tranne nei casi in cui l’atleta sia ebreo, nemico politico, zingaro o altro e infine omosessuale o, in caso di atleta donna, lesbica.

E’ sempre il corpo, la relazione tra i corpi e l’appartenenza ad altre categorie di corpi, che fa la differenza. Anche se l’atleta è un campione o una campionessa.

Tra le migliaia di corpi martoriati e perseguitati ne abbiamo scelto uno per tutti come rifrazione storico-drammaturgica, Otto Peltzer, uno dei più grandi mezzofondisti della storia. Arrestato, incarcerato diverse volte, poi Mauthausen fino al 5 maggio del 1945, quando gli americani lo liberano. Ma Otto non viene riabilitato neanche nella Germania post nazista. Il “peccato” dell’omosessualità lo perseguiterà. Andrà in India a insegnare atletica e altri sport ai giovani, rientrando in Germania solo alla fine.

E nemmeno oggi il traguardo è vicino e la corsa continua.

Come nella lampadedromia, la corsa con le fiaccole, l’atleta/uomo/donna continua a passare la fiamma che porta il nuovo fuoco sacro. Nel più breve tempo possibile e sempre più veloce, per arrivare al traguardo di un nuovo concetto di relazione tra gli uomini, di una nuova idea di comunità, di una nuova idea di libertà.

“Sopra la testa il cielo, sotto i piedi la terra,/di fianco il niente./Sento che qualcuno di lato ci guarda./Sento ma non guardo, perché sto vivendo,/correndo.”

Sul dispositivo scenico di Rosa Winkel

Note di Maria Federica Maestri

Lo spazio di Rosa Winkel è ripartito ritmicamente da sequenze modulari variabili formate da sedici armadietti metallici. Il volume plastico del piccolo armarium contiene la duplice dimensione insita nello spogliarsi: lo smascheramento, la liberazione dall’involucro esteriore e al contempo il denudamento, inteso come perdita di identità, azzeramento dell’unicità e della differenza.


La moltiplicazione degli scomparti installati nello spazio scenico determina l’oscillazione tra l’uno e l’altro aspetto, permettendo di ‘figurare’ la doppia dinamica su cui si muove la drammaturgia: la pienezza corporea della identità omosessuale dell’atleta e la secchezza identitaria del corpo dell’internato, privata di ogni segno sessuale, la sua negazione assoluta nel campo di sterminio. Solo una fuga, una corsa senza fine, a sostituirne la forma affettiva e corporea.

Il dispositivo drammatico rimbalza tra l’esaltazione del sentire fisico e la sua totale sottrazione operata nei lager tramite la castrazione, gli esperimenti ormonali e i trattamenti clinici.

Le scansioni spaziali dei contenitori metallici, l’apertura e la chiusura di questi archivi minimi dell’orrore storico normano l’alternanza scenica tra campo epico e campo tragico.

Immagini

Media

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Crediti

Testo originale, imagoturgia | Francesco Pititto

Installazione, regia | Maria Federica Maestri

Interpreti | Valentina Barbarini, Adriano Engelbrecht, Roberto Riseri, Giancarlo D'Antonio, Davide Rocchi

Musica | Andrea Azzali

Cura progettuale | Elena Sorbi

Organizzazione | Ilaria Stocchi


Comunicazione e ufficio stampa | Michele Pascarella

Cura tecnica | Alice Scartapacchio

Media video | Stefano Cacciani

In collaborazione con ISREC

Con il patrocinio di Arcigay Associazione LGBTI+ Italiana

Produzione Lenz Fondazione

Rifrazioni

Exibart


Matteo Bergamini


Uno spettacolo che a tratti si carica anche di profondo erotismo che va di pari passo col buio di Thanatos e che, nell’oscurità rischiarata da potenti fari puntati addosso come durante un interrogatorio, permette di riscoprire uno dei lati meno raccontati di quel delirio collettivo durato anni.


Sipario


Giuseppe Distefano


L’immersione è immediata. Sedici armadietti metallici collocati al centro in due lunghe file speculari lasciano un corridoio in mezzo, e, attorno, un largo spazio per permettere di muoverci in libertà ad osservare, ascoltare, vivere anche noi spettatori dentro la scena-lager e campo d’atletica.


Teatropoli


Francesca Ferrari


I tre interpreti maschili, tre atleti, prima di spogliarsi dei propri costumi ginnici vanno percorrendo e occupando la sala, fruita in modo itinerante anche dal pubblico, per tratteggiare percorsi di gara ideali, disegnare geometrie relazionali, modulare con brevi e repentini scatti di corsa, e con l’aprire e chiudere degli armadietti (ante della memoria e del pensiero, contenenti oggetti, luci e microfoni per parole segrete), i tempi, le forme, le dinamiche e il tessuto connettivo della composizione generale, oltremodo sorretta da un reticolo sonoro e musicale di ispirazione wagneriana.


Hystrio


Tommaso Chimenti


Folgorante la scena con il reggente sul trono, Himmler, che lancia, furiosamente frustrato, centinaia di soldatini sul petto dell’atleta che, inesorabile, gli si avvicina.

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