Atlante sulla Violenza
Dopo il progetto quadriennale sulle Sacre Scritture, quel che avviene nel mondo e quel che ci hanno consegnato in termini di scritture e immagini-immaginazione-immaginale, ci conduce verso un’analisi della violenza, dell’atto violento, dell’eroe mitico e della guerra.
Atlante Sulla Violenza è il nuovo progetto pluriennale con un lavoro anatomico a partire dall’Iliade, il primo grande libro dell’Occidente che trascrive poeticamente temi quali il conflitto, la prevaricazione, la violenza, l’empietà e una serie di riscritture performative connesse con l’epica dell’Iliade.
Verità e bellezza, tra figure divine ed eroi in perenne lotta, sembrano scandire parentesi temporali dove il tempo pare non esistere, o essere infinito e immortale come la vita degli dèi litigiosi e vendicativi. Parentesi dove la poesia si innalza al di sopra della ferocia di una guerra di cui si è perduto il senso, il fine ultimo della contesa.
Per indagare la relazione profonda tra la materia e lo spirito, tra la natura e l’essere umano ci vengono in ausilio, come sempre, i pensieri e gli scritti di Simone Weil e il principio-pensiero del ‘Vincere la perdita’, esito fondamentale della riflessione sul tragico di Friedrich Hölderlin, si fa atto tremendo e violento nell’esplorazione dolorosa e nella definizione del male attraverso la tragedia Edipo il Tiranno e le liriche Mnemosyne.
Ogni rimando etico-estetico al nostro presente necessita di un pensiero critico drammaturgico che tracci i confini tra pensiero epico, figura eroica e forma, tra forza e potere in campo per poterne trarre il vero significato: chi ha la forza ha anche il potere? O il vero potere è di chi non riconosce la forza e la violenza, dopo averle subite, come ineluttabili?
Un teatro che abbia il proprio agone nella contemporaneità non ne può prescindere, la poesia – terribile arma di difesa – non ne può prescindere.
Progetto Hölderlin
Al poeta, filosofo, drammaturgo romantico tedesco, morto pazzo dopo quasi quarant’anni vissuti rinchiuso nella sua casa-torre di Tubinga, Lenz Fondazione ha dedicato negli anni passati un percorso di ricerca unico in Italia. Dal 1991 al 1994 Maria Federica Maestri e Francesco Pititto hanno infatti curato la mise-en-site della quasi totalità delle opere di Hölderlin, ritradotte appositamente per la scena: le tre stesure de La Morte di Empedocle, Edipo il tiranno, Aiace, Edipo a Colono, Antigone, Hölderlin-Foscolo, L’era dei querci.
Tra il 2014 e il 2016 concentrano il proprio lavoro su Iperione trascrivendo il breve romanzo giovanile in tre diversi segmenti scenici: Hyperion/Diotima, Hyperion #2, Hyperion.
La prima messa in scena di Questa Debole Forza, creazione site-specific dei Cori di Edipo il Tiranno nel Museo Archeologico del Complesso monumentale della Pilotta, risale al 2017.
Le traduzioni da Sofocle sono l’ultimo lavoro di cui Hölderlin vide la stampa.
La traduzione dell’Edipo Re, criticata e addirittura irrisa all’inizio dell’Ottocento, si è rivelata successivamente un’opera di altissima poesia, su cui hanno scritto pagine memorabili Benjamin, Heidegger e Brecht.
IL SIGNIFICATO DELLE TRAGEDIE
Friedrich Hölderlin
Il modo più semplice per comprendere il significato delle tragedie è di partire dal paradosso.
Infatti, tutto quanto è originario, essendo ogni facoltà distribuita in maniera equa ed uniforme, non appare invero nella sua forza originaria, ma invece propriamente nella sua debolezza, dimodoché la luce della vita e il fenomeno appartengono propriamente alla debolezza di ogni totalità.
Ora, nel tragico il segno è in se stesso insignificante, inefficace, mentre emerge appunto ciò che è originario. L’originario può infatti propriamente apparire solo nella sua debolezza: nella misura in cui il segno in se stesso, in quanto insignificante, viene posto = 0, può allora rappresentarsi anche ciò che è originario; il celato fondamento di ogni natura.
Se la natura si rappresenta propriamente nella sua dote più debole, allora il segno è = 0 quando essa si rappresenta nella sua dote più forte.