#1 NIDI
Da Agamennone di Eschilo
Nel primo capitolo della trilogia lo stato estremo del sentimento, la passione che muove e spinge verso la morte, l’uccisione tragica dell’eroe, il mistero della condizione umana prendono forma nell’oscillazione tra debolezza e forza, vulnerabilità e potenza del corpo psichico di Cassandra, la straniera profetessa di sventure, preda di guerra e schiava nella casa degli Atridi, raggio rifratto della fisica poetica e violata di Clitennestra.
L’installazione del primo capitolo evidenzia un piedistallo-nido che trae ispirazione formale dall’opera di Mario Merz, in cui i personaggi femminili della tragedia – Clitennestra e Cassandra – depongono e covano le proprie uova. La profanazione del nido innesca il conflitto tragico tra le forze, l’atto irreparabile che ne sentenzia la doppia morte.
Interpreti di #1 Nidi sono Sandra Soncini, protagonista delle più importanti creazioni di Lenz nel ruolo di Clitennestra, e Carlotta Spaggiari, attrice sensibile, nel ruolo di Cassandra, già straordinaria incarnazione di Ermengarda nell’Adelchi e di Angelica nel ciclo ispirato all’Orlando Furioso; insieme a loro, nella funzione di Ifigenia e di Coro, Valentina Barbarini, icona di Lenz e interprete di Iphigenia in Aulide, primo paragrafo del dittico ispirato al mito di Ifigenia.
#2 LATTE
Da Le Coefore di Eschilo
Ritornato nella casa dei genitori dopo l’allontanamento voluto dalla madre – vissuta un’infanzia orfana, umiliata e derisa – Oreste viene convinto dalla sorella Elettra ad istituire, in rivolta contro il potere materno, un collettivo infantile antiautoritario, intollerante, antagonista. Il compimento di atti estremi come la distruzione della casa e l’uccisione della madre, colpevole dell’assassinio del re e padre Agamennone, trasfigurano il bambino innocente in un adulto delirante e furioso.
In Latte, il secondo episodio tratto da Le Coefore, l’installazione scenica predispone – simmetricamente al nido/letto abitato dalla madre Clitennestra – alcuni elementi ordinari e attivi della fisica domestica: una tavola artificialmente nutritiva – inondata dal latte nero dell’odio ispirato alla Todesfuge di Paul Celan e ai vortici liquidi di Anish Kapoor – e la tana/culla in cui Oreste si nasconderà per sfuggire alla furia delle Erinni.
Interpreti di #2 Latte sono Barbara Voghera, nel ruolo di Oreste, attrice sensibile già interprete di Hamlet e delle maggiori creazioni di Lenz e Sandra Soncini, nel ruolo di Clitennestra; insieme a loro Lara Bonvini nel ruolo della sorella Elettra e Valentina Barbarini in funzione di Ifigenia e Coro.
#3 PUPILLA
Da Le Eumenidi di Eschilo
Nell’episodio conclusivo della trilogia si attua la persecuzione del matricida Oreste da parte delle Erinni e la sua assoluzione finale ad opera del tribunale dell’Areopago. Protagoniste dell’ultimo atto le divinità: Oreste, l’Ombra di Clitennestra, Atena, Apollo e le Erinni. In Pupilla, il terzo episodio tratto da Le Eumenidi, l’installazione scenica predispone, dopo la distruzione della casa compiuta da Oreste, uno spazio non domestico funzionalmente riferibile alla sala d’aspetto di un servizio pubblico; in questo luogo anonimo, sanificato dalle violenze emotive che li hanno tragicamente trasfigurati, i componenti della famiglia sperano di rettificare la propria identità e di riappropriarsi di un nuovo destino.
Interpreti di #3 Pupilla sono Barbara Voghera nel ruolo di Oreste, Sandra Soncini per l’Ombra di Clitennestra, Monica Barone – già interprete di Iphigenia in Tauride di Goethe e Gluck – nel ruolo di Atena, Carlotta Spaggiari nel ruolo di Apollo, Valentina Barbarini e Lara Bonvini nella funzione di Coro ed Erinni.
Sull'Orestea al tempo della pandemia
Maria Federica Maestri
Non siamo stati ‘divorati’ artisticamente dal peso delle cronache tragiche di dolore e morte che ci vengono consegnate quotidianamente ormai da molti mesi. Non se ne avvertono tracce dirette nelle figurazioni sceniche che hanno trovato compimento in questo periodo guerra pandemica, perché teatro è per sua natura arte tragica, opera di lutto e catarsi, luogo di metamorfosi del male/malattia – che nella tremenda folgorazione iniziale dell’Edipo coincide con il male individuale – in esperienza eroica di perdita. Durante le prove dell’ultimo capitolo dell’Orestea – Pupilla – se ne è tenuto conto in termini formali: sicuramente ha interferito nel modus performandi delle sei attrici dell’ensemble, che non potevano toccarsi e che, per lavorare in sicurezza, dovevano rimanere forzatamente distanziate. Si è trattato di trasferire la loro sofferenza artistica, il loro depotenziamento fisico, in potenziamento concettuale, ho cercato di guidarle alla ricerca di un corpo antiretorico, più sensibile all’impulso interiore, capace di esaltare il proprio campo emotivo in una nuova grammatica di trattenimento. L’installazione scenica, ha subito una forte variazione formale, si è ‘ionizzata’, svuotata dei pieni materici, ha acquisito una carica energetica superiore, si è fatta più vibrante, attivata da una nuova segnificazione virtuale live.
Orestea di Lenz
Francesco Pititto
Ifigenia in Aulide, Ifigenia in Tauride, #Nidi per Agamennone, #Latte per Coefore, #Pupilla per Eumenidi, la saga degli Atridi, l’autorità e il potere degli dèi risolutivo, il pareggio della Polis a testimoniare lo stallo. Erinni per Eumenidi, Eumenidi per Erinni, il teatro non può salvare il mondo e quel che rimane oggi è la ferocia sulla quale il mondo si è formato. Si è forse fermata la guerra? La progressiva distruzione del pianeta?
Nemmeno in un sogno idilliaco, e forse solo negli incubi può resuscitare l’origine bestiale che vive dentro ogni essere umano, uomo e donna, singolo e in gruppo, e in particolare nel clan, nella famiglia. E qui bisogna tornare, il mondo ristretto tra le mura domestiche è, come sempre, il teatro dei sentimenti e comportamenti umani scoperti, veri e diretti, nel bene e nel male. Il potere, l’affetto, l’amore, l’odio, la vendetta sembrano rimanere intatti dentro il nucleo ereditario, in parte refrattari a quanto accade al di fuori; anche se strettamente legati all’ordine dato, alla norma democratica della partecipazione, diritti e doveri sì ma prima quelli del di dentro, lì il cittadino è prima figlio, madre, padre, zio, nonno e così via.
Il figlio è sempre il più bello, il più intelligente, potrei morire per mio figlio, mio nipote, mia sorella… Da questo pur semplice corso delle cose possiamo indagare sul senso della citazione, sull’opportunità dell’interpretazione, della riscrittura, della messa in scena di questa trilogia. Penso ad una rappresentazione della matematica disposizione delle figure drammatiche fondamentali che sia, prima di ogni lettura contemporanea, impressa in un quadro di verità e, paradossalmente, di rappresentazione anti-matematica.
Così il testo riscritto diventa un cruciverba tragico, una enigmistica complessa di emozioni e azioni funeste. Non essendoci più le divinità a regolare i ruoli, lo scacchiere, viene a mancare l’elemento fondamentale della follia, della furia irrazionale, del capriccio dionisiaco, della forza titanica. Ecco allora che alcuni protagonisti nuovi, figure tragiche della contemporaneità, intervengono come amazzoni a riportare la hybris necessaria all’umano per ribellarsi ancora. Modificando lo schema indotto dall’opera, questi atomi tragici possono deviare la direzione della loro caduta, lo schema della drammaturgia può perdersi temporaneamente, per poi ritornare e far procedere l’azione nel labirinto della scena. Non può esserci rappresentazione tragica senza la presenza di questi protagonisti, quelli che amiamo chiamare “attori sensibili”, dotati di quella forza espressiva illimitata che permette loro di dire la verità, anche la più cruda. Hanno un respiro senza tempo, vocalità antiaccademica e anti-sperimentale, eco di un altrove del pensiero, postura naturale senza affettazione, gestualità funzionale.
La Cassandra, e poi Atena, di Carlotta Spaggiari portano oscurità, animalità e ragione, l’Oreste di Barbara Voghera sta in un corpo d’infante con voce già vecchia e già vestito di esperienze cruente, l’Atena di Monica Barone vive con il suo cerimoniale quotidiano ed è oracolo di vita senza voce, e poi l’Ifigenia spezzata di Valentina Barbarini che è stata cerva in Aulide e poi con Monica sacerdotessa muta in Tauride, tra tragedia e romanticismo; la Clitennestra di Sandra Soncini prima madre e poi assassina, l’Elettra di Lara Bonvini sorella e complice di Oreste: ecco la Famiglia specchio della natura umana, ed è in particolare la figura della donna – madre, sorella, figlia -, che come un buco nero d’amore e odio, attira e trascina nel senza fondo ogni passaggio tragico. E tutte insieme anche Coro, coro vivente, partecipante come quello voluto da Eschilo, parte in causa non solo osservante. Abbiamo escluso l’immagine, come nei primi due episodi non ho accompagnato alla riscrittura del testo un’imagoturgia parallela. Non abbiamo avvertito l’esigenza di aggiungere all’antimateria portata dalle attrici figure virtuali, epifanie del mondo reale: già loro erano, oltre ai corpi, immagine vera, sincera, materica. Invece, in corso d’opera, insieme a Lillevan – compositore delle musiche dell’intera Trilogia – avevamo realizzato una videoinstallazione con esecuzione dal vivo, Orestea Concert, al Teatro Farnese di Parma. Un concerto di suoni e immagini, una messa in suono dell’imagoturgia, assente dal rito teatrale, ma immanente all’azione teatrale.