L'arte non serena
Si producono tante immagini durante i viaggi della Memoria, ma che cosa si documenta? quanto ci si può spingere oltre la documentazione? Se la documentazione, dal punto di vista estetico, rimane pressoché identica (media fotografici e audiovisivi perlopiù) e confinata dentro i confini del racconto storico, anche se elaborata scrivendo poesie o impressioni, col passare del tempo la memoria si “congela” in una struttura formale rigida, quel che resta dei campi di lavoro e di sterminio rimane edificio, rotaia, cancello, filo spinato e ognuno risuona di umanità distrutta ma resta l’immagine di quel che è, di quel che era; mentre misurarsi con la produzione di nuove immagini, di nuove forme espressive, fino ai confini di quel che ci concede l’interpretazione storica, etica e la creazione artistica, porterebbe il documento storico – sia esso monumentale, architettonico, fotografico o cartaceo – a rinnovarsi nella sua funzione di divulgazione e di presenza nella contemporaneità, apportare trasformazioni che diminuiscono la distanza temporale, il ricordo, l’immagine-cristallo del passato e del presente si fonderebbero in un’unica figura, che è memoria ma anche vita dell’oggi. Quando non ci saranno più superstiti a ricordare al mondo quel che è stato, le nuove generazioni dovranno di nuovo raccontarlo alle successive per tenere vivo il ricordo e la modalità del nuovo racconto, affinché la Storia non si allontani troppo, dovrà trovare i mezzi più efficaci per farla arrivare ancora dritta al cuore e alla mente di ognuno, affinché diventi la nostra storia. Perché purtroppo le immagini e la realtà del presente ci forniscono continuamente rimandi diretti con quanto è già accaduto.
La drammaturgia di KINDER contiene diverse parti di questa Storia: l’elenco dei campi di lavoro e di sterminio, le lettere di una madre al “Signor Questore della Provincia di Parma”, poesie anonime di bambini ebrei dei campi, dialoghi immaginari tra i bambini di Parma con altri due bambini dei campi, Tereszka e Papo, una versione ritradotta di “Tenebrae” di Paul Celan ma il nucleo drammaturgico rimane il canto. Ed ecco la presenza/resurrezione dei bambini del Coro di Voci Bianche diventare essenza performativa insieme ad un’unica attrice, riflesso e rifrazione di sei vite troncate, tramite i loro sguardi silenziosi e poi voci recitanti e intonanti un unico Lied di Mozart/Overbeck “Komm lieber Mai_” che parla di un Maggio imminente, di violette, di giochi nella notte e nella neve, di un libero paese amato.
Intorno e all’interno, il paesaggio elettronico di una drammaturgia musicale composta di voci straniere, rumori rielaborati fatti di rimandi sonori del Campo, movimenti musicali tesi a creare nuove dinamiche spazio-temporali.
KINDER va alla ricerca di un’Eco di quel che non si potrebbe più dire, più ascoltare, più scrivere, mai più dimenticare, di un’arte non serena. Paradossalmente tenta di “suonare il silenzio” che la morte di sei bambini ebrei, insieme a quella di milioni di esseri umani, imporrebbe alla ragione; ma anche Adorno, dopo il dialogo a distanza con Celan sulla impossibilità della poesia dopo Auschwitz, ha poi scritto: “Il dolore incessante ha tanto diritto di esprimersi quanto il martirizzato di urlare. Perciò forse è falso aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere una poesia […] L’arte che non è più affatto possibile se non riflessa, cioè presa se non come un problema, deve da sé rinunciare alla serenità. E la costringono innanzitutto gli avvenimenti più recenti, il dire che dopo Auschwitz non si possono più scrivere poesie non ha validità assoluta, è però certo che dopo Auschwitz, poiché esso è stato e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può più immaginare un’arte serena”.