Il quadro visivo su cui si infrangono le acque del Mar Nero che bagnano le rive di Tauride - l'attuale Crimea - definisce la linea di orizzonte che separa Iphigenia dalla patria e dagli amati. Sola, esiliata in una terra straniera in cui vigono usanze inumane, il sacrificio degli stranieri che approdano sulle coste di Tauride, vive come un'ombra in un bosco sacro, custode muta del santuario dedicato a Diana, la dea pietosa che in Aulide l'aveva salvata dal suo tragico destino di morte.
Nel centro dell'area scenica, sospese tra i rami metallici di piante meccaniche, si stagliano le corna della cerva sacrificata al posto di Iphigenia, il giorno in cui il padre Agamennone, per propiziare la partenza delle navi alla volta di Troia, aveva deciso di sgozzare la figlia.
Sul fondo, sospesa anch'essa su un tripode metallico, una colonna spezzata in due tronconi, memoria e presagio della rovina della casa paterna; una catena di morti violente ha infatti insanguinato la stirpe degli Atridi: Clitennestra, madre di Iphigenia, per vendicare la morte della figlia ha ucciso il marito, il figlio Oreste per vendicare la morte del padre ha ucciso la madre e, reso folle dalle Furie, vaga disperato alla ricerca della propria anima. In espiazione del delitto, spinto da Apollo approderà a Tauride con l'amico Pilade per rubare la statua di Diana custodita nel santuario e riportarla in Grecia per pacificare gli dei.
A lato nella stanza di Iphigenia un giradischi suona l'opera di Gluck, una versione incisa su vinile registrata negli anni cinquanta. Il cambio del disco scandisce il tracciato narrativo e il tempo poetico della vita di Iphigenia.
Su un piccolo altare, un freddo tagliere in acciaio, è posto un lavacro per eseguire i rituali di purificazione: su quell'altare Iphigenia, disobbedendo a leggi che ritiene ingiuste e disumane, non immolerà alcuna vittima, non compirà alcun sacrificio umano, ma con un rito intimo e segreto implorerà gli dei di ritornare libera e di essere felice.
Di fronte al loro silenzio, confusa e angosciata, Iphigenia decide di osare un'azione audace e conquistare una nuova patria-corpo libera da vincoli sociali e religiosi.
Ad interpretare Iphigenia in Tauride. Io sono muta è Monica Barone, danzatrice dotata di una grande sensibilità performativa maturata nel rapporto con la propria specificità fisica. Nonostante i numerosi interventi chirurgici al volto cui deve sottoporsi fin dalla primissima infanzia, Monica coltiva e pratica con passione i linguaggi della danza contemporanea e la fotografia. Recentemente è interprete di Beatrice nella grande installazione site-specific del Paradiso di Lenz (2017).