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I Promessi Sposi

LPAM Lenz Per Alessandro Manzoni

Dedica a 150 anni dalla morte presso la Galleria San Ludovico di Parma


La chiesa sconsacrata istituisce uno spazio-tempo provvidenziale per la grande videoinstallazione de I Promessi Sposi, trasposizione fisico-digitale del romanzo storico manzoniano, opera fondativa della lingua italiana rigenerata con estremismo antiretorico da Lenz e interpretata nel 2013, da attori e attrici sensibili, ex lungodegenti psichici e persone con disabilità intellettiva, maturati in un percorso ultraventennale di ricerca teatrale unico in Europa per intensità e risultati espressivi.


Il progetto

LPAM Lenz Per Alessandro Manzoni


Ogni anno Lenz Fondazione dedica a un_una grande intellettuale_artista della cultura italiana un Progetto Speciale di rilettura dell’opera in chiave visuale e performativa.


Con il progetto LLD Lenz Lecturae Dantis (2021) e con LPPP Lenz per Pier Paolo Pasolini (2022) Lenz ha attivato un percorso che intende riattualizzare il pensiero delle figure di riferimento della cultura italiana, e indagarne i riverberi e le influenze nella contemporaneità.


Due creazioni di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto dedicate nel 2023 ad Alessandro Manzoni a 150 anni dalla morte: Ia videoinstallazione I Promessi Sposi con le musiche di Andrea Azzali e la performance Crine, tratta dall’Adelchi e interpretata da Carlotta Spaggiari con live music di Roberto Bonati, entrambe site-specific per la ex chiesa di San Ludovico a Parma.


La chiesa sconsacrata istituisce uno spazio-tempo provvidenziale per la grande videoinstallazione de I Promessi Sposi, trasposizione fisico-digitale del romanzo storico manzoniano, opera fondativa della lingua italiana rigenerata con estremismo antiretorico da Lenz e interpretata nel 2013, da attori e attrici sensibili, ex lungodegenti psichici e persone con disabilità intellettiva, maturati in un percorso ultraventennale di ricerca teatrale unico in Europa per intensità e risultati espressivi.


Alessandro Manzoni ha scritto: «l’Historia si può veramente definire una guerra illustre contro il tempo». Infinite storie fanno la Historia, infiniti racconti che lottano contro la condanna della dimenticanza, dell’oblìo privato. La ricostruzione di queste storie significa restituire dignità e valore artistico ai dimenticati. Dopo l’Hamlet gli Hamlets di Lenz si sdoppiano nelle diverse figure manzoniane con le stesse ansie e gli stessi dubbi shakespeariani: «Io qui o io non qui ...».


La maestosa opera manzoniana viene così riedificata in scena dai nuovi protagonisti dell’impresa. Sempre Manzoni scrive: «Tra il primo pensiero d’una impresa terribile e l’esecuzione di essa (ha detto un barbaro non privo d’ingegno) l’intervallo è un sogno, pieno di fantasmi e di paure» e così è nella realtà/finzione de I Promessi Sposi di Lenz, privi di un già delineato disegno misterioso e di divina provvidenza.


Molti sono i nodi che caratterizzano la vita degli attori di questi I Promessi Sposi, alcuni sono già stati tagliati nel corso di questi vent’anni di pratica artistica comune e molti sono ancora strettamente intrecciati tra la storia di ognuno e il presente che trae la propria energia da una passione ripetuta di riscatto e reincarnazione. La presa di possesso dei personaggi manzoniani da parte di questi “magnifici umili” diventa una contemporanea rivolta del pane e una ribellione all’oblìo, una pestilenza benefica che costringe alla malattia dell’uguaglianza e alla misericordia dell’attore tragico, di intransigente moralità come l’uomo verdiano.


Melodramma e romanzo si intrecciano nelle ricostruzioni di vite vissute davvero, personaggi manzoniani e verdiani si sovrappongono e si fondono tra identità perdute e ricostruite su di un canovaccio personale che ritrova percorsi comuni, identiche epifanie e uguali sofferenze in un unico grande affresco di verità e rappresentazione.

Introduzione

Dieci anni dopo la prima stesura scenica de I Promessi Sposi, l’opera di Manzoni rappresenta ancora un potente dispositivo letterario per indagare gli archetipi della cultura italiana e, in particolare, gli elementi fondativi della lingua intesa non solo come scrittura/lettura ma come grande affresco comprendente molteplici dati sul pensiero, l’estetica, la vocalità, il comportamento, la visione del mondo che riguardano - proprio in quanto imprinting genetici culturali - la contemporaneità della società italiana.


Partire dai classici per interpretare l’oggi da un punto di vista artistico totale – drammaturgico, imagoturgico, installativo/scenografico, plastico, musicale e poetico – è il tratto caratteristico della ricerca di Lenz. Dopo progetti pluriennali sul romanticismo tedesco – Lenz, Büchner, Goethe, Hölderlin, Kleist – e sul barocco spagnolo e inglese – Calderón de la Barca e Shakespeare – il romanticismo italiano nel suo massimo rappresentante è parso naturale acquisizione di un forte elemento d’indagine creativa. Tanto più che gli elementi tematici dell’opera potevano essere impulsi positivi per l’ipersensibilità artistica che contraddistingue gli attori e le attrici dotati di particolare status psichico-intellettivo.


E la selezione di stati d’animo, memorie di vita vissuta, condizioni emozionali e concetti sono stati i riferimenti per i primi approcci ai rimandi narrativi dell’opera e alla loro rielaborazione drammatica. L’oppressione, la minaccia, la forza, la debolezza, la violenza, il rifiuto, la resistenza, la disobbedienza, la viltà, il desiderio, la repulsione, l’inganno, la sopraffazione, la sottomissione, l’arbitrio, la speranza, la colpa, la confessione, la malattia, la sofferenza, l’espiazione, e molti altri segmenti costitutivi della vita sia dei personaggi letterari sia, soprattutto, dei soggetti creativi in campo hanno permesso una serie di “rifrazioni” dall’opera/romanzo all’opera/teatro.

Iniziata con una serie di registrazioni vocali e rumoristiche (nella modalità bruitistica o noise music) dei diversi stati d’animo, emozionali e sentimentali, la ricerca è poi proseguita con l’ideazione di un habitat scenografico/installativo composto di sei grandi stanze dotate di pareti trasparenti e finestre colorate, come le grandi finestre delle basiliche medievali: “il Paese delle Stanze Luminose”.

Il testo recitato/registrato è una composizione di frammenti originali, dissertazioni poetiche, rielaborazioni filtrate da memorie differenti, substrati di episodi di vita realmente vissuti o immaginati, concerto polifonico di dialoghi metafisici e metapsicologici ma continuamente rientranti e di nuovo uscenti nella corsia maestra del rimando testuale originario.


La moltiplicazione dei personaggi – due Lucia, tre monache di Monza (bambina-donna-vecchia) – la fusione schizofrenica con alterazione timbrica in un unico attore dell’Innominato e del Cardinale Borromeo, l’allegato arbitrario della morte di Don Rodrigo ripresa dal Fermo e Lucia, il tremore coreografico di Don Abbondio e il suo interrogarsi sull’amore fisico, sono alcuni dei passaggi metalinguistici più significativi concessi da una drammaturgia libera quanto un blank verse shakespeariano.


L’estetica dell’immagine de I Promessi Sposi è come sempre in Lenz drammaturgia della materia, in questo caso il capolavoro della letteratura italiana è scomposto in ventiquattro quadri performativi e visuali installati all’interno di uno spazio-incubatrice: ogni stanza delimitata da pareti leggere e traslucide con immagini mobili, allungate, come in vetrate gotiche, ed il suono composto da musiche, voci e suoni che scorrono ovunque avvolgendo insieme interpreti e spettatori in un destino comune.


La visione dello spettatore è libera e itinerante ne il Paese delle Stanze Luminose” con un invito a sostare sui giacigli dove agivano nella performance del 2013 gli attori e le attrici, a prenderne il posto in uno scambio simbolico di funzioni drammaturgiche e di ibridazioni esistenziali.


Musica sacra e romanzo drammaturgico si intrecciano nelle ricostruzioni di vite vissute per davvero, personaggi manzoniani e verdiani si sovrappongono e si fondono tra identità perdute e ricostruite su di un canovaccio personale che ritrova percorsi comuni, identiche epifanie e uguali sofferenze in un unico grande affresco di verità e rappresentazione.


Dedicato a Manzoni, è il requiem per tutti gli uomini che hanno creduto, sperato, lottato, il requiem per un ideale che la realtà sembra respingere o dimenticare. Una meditazione sulla morte in cui il tema tante volte affrontato nella finzione teatrale si fa universale.


Nel riposo della morte esce l’ultimo personaggio della tragedia: «l’Uomo verdiano, con la sua intransigente moralità, con le sue aspirazioni tradite, vinto e tuttavia superiore al mondo.».

La presa di possesso dei personaggi manzoniani da parte di questi “magnifici umili” diventa una contemporanea rivolta del pane e una ribellione all’oblìo, una pestilenza benefica che costringe alla malattia dell’uguaglianza e alla misericordia dell’attore tragico, di intransigente moralità come l’uomo verdiano.



Estetica dell'immagine


Corpi in vitro, semoventi, sorridenti come nascituri in ventri costretti dalla storia, dalla Historia delle loro piccole grandi storie, di ciascuno, degli sposi promessi fin dal primo vagito, rumori e suoni di prossimi futuri pieni di fatica, di paura, di riscatto. Corpi lucenti, stretti in spazi ristretti dalle cornici, dai confini, verticali di nere pareti d’ansia, d’angoscia, di sconfitta. Corpi allungati, dal basso verso l’alto, figure “similmente differenti” a quelle di Doménikos Theotokópoulos (El Greco), Giacometti, Modigliani, semplici e sacre insieme. Come vetrate di grandi basiliche pulsano cromaticamente in ogni stanza, rocce vitree provenienti dai vulcani dell’Io.


Provette, ampolle verticali, habitat naturali per feti già viventi, protagonisti ciascuno di monologhi fisiologici, fisici, scientifici, psichiatrici. Il margine intorno, in ombra, le emozioni, le reazioni, i sentimenti, le imitazioni, le memorie e i ricordi, le favole e le storie vere, finzioni e verità sbiadite dal tempo, rughe, solchi di vita, tatuaggi di nicotina esposti nell’epifania dei corpi.


L’addio ai monti, l’addio di ognuno alla casa di sempre, al paesaggio dipinto sugli occhi, rifugi di spazi sicuri, confortanti, semplici e benigni. Immagini impresse, l’addio e poi si apre la via alla vita rimasta, al tempo che scorre, al pensiero contorto, al quadro sfocato, allo spazio senza spazio mentale e razionale, senza ragione. Questo matrimonio non s’ha da fare, ma si farà, si compirà la congiunzione misericordiosa tra la rinascita del semplice e la sua tremenda complessità. I corpi si muovono, girano, galleggiano nel quadro d’immagine, lo spazio scuro di destra e di sinistra li preme al centro ma offre loro protezione all’aprirsi all’ignoto. Sta all’attore sensibile che li ha generati, al di qua del virtuale, richiamarli alla vita, al tempo sospeso e limitato dell’esistere teatrale.



Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi

Requiem di passione


Il 22 maggio 1873, a ottantotto anni, muore a Milano Alessandro Manzoni. Verdi non partecipa al funerale il 29 maggio ma nello stesso giorno scrive a Clara Maffei:


«Ai funerali io non ero presente, ma pochi saranno stati in questa mattina più tristi e commossi di quello che era io, benché lontano. Ora tutto è finito! E con Lui finisce la più pura, la più santa, la più alta delle glorie nostre. Molti giornali ho letto. Nissuno ne parla come si dovrebbe. Molte parole ma non profondamente sentite. Non mancano però i morsi. Persino a Lui!... Oh la brutta razza che siamo!» Pochi giorni dopo offre di «mettere in musica una Messa da morto».


Dedicato a Manzoni, è il Requiem per tutti gli uomini che hanno creduto, sperato, lottato, il requiem per un ideale che la realtà sembra respingere o dimenticare. Una meditazione sulla morte in cui il tema tante volte affrontato nella finzione teatrale si fa universale. Nel riposo della morte esce l’ultimo personaggio della tragedia: «l’Uomo verdiano, con la sua intransigente moralità, con le sue aspirazioni tradite, vinto e tuttavia superiore al mondo.»


Come un grande affresco degli ideali di tutta una vita, Verdi ripropone la sua incrollabile visione del mondo. La morte, come scrive il Mila era sempre stata presente nelle sue opere: «È una specie di ferro del mestiere drammatico, un ineluttabile evento naturale che, come necessario deus ex machina, viene a tagliare i nodi e a risolvere le intricate situazioni in cui tutti gli uomini si sono cacciati per effetto delle loro passioni.»

La ricerca musicale di Andrea Azzali è realizzata sul Requiem di Giuseppe Verdi. Il metodo di lavoro si è sviluppato su due differenti procedimenti che conducono ad un unico risultato: la ri-drammatizzazione del Requiem all’interno della drammaturgia de I Promessi Sposi.


Nello specifico, il brano Lacrymosa genera due differenti textures, il suono originale viene parcellizzato e catturato in una microstruttura spazio-temporale sovrapposta ad altre microstrutture che insieme vanno a generare un magma sonoro denso.


Il secondo metodo, più tradizionale, porta ad una riscrittura della partitura originale nelle sue prime dodici battute ri-assemblate in un nuovo elemento che rinvia ad un ricordo-oblio della struttura originaria.


Il continuo rimando corre di pari passo con lo svilupparsi delle sequenze teatrali che delineano la nuova scrittura narrativo/segnica sul doppio binario personaggio-attore sensibile.

Crediti

Drammaturgia, imagoturgia Francesco Pititto

Installazione, composizione Maria Federica Maestri

Interpreti in video, voice over Valentina Barbarini, Frank Berzieri, Monica Bianchi,

Giovanni Carnevale, Carlo Destro, Paolo Maccini, Andrea Orlandini, Roberto Riseri,

Delfina Rivieri, Vincenzo Salemi, Elena Sorbi, Carlotta Spaggiari, Barbara Voghera

Musica Andrea Azzali

Cura Elena Sorbi

Organizzazione Ilaria Stocchi

Ufficio stampa, comunicazione Elisa Barbieri

Diffusione, cura grafica Alessandro Conti

Cura tecnica Alice Scartapacchio

Assistente Giulia Mangini

Assistenza tecnica Erika Borella, Tiziana Cappella, Dino Todoverto

Stagista Polina Iakovleva

Produzione Lenz Fondazione, Festival Natura Dèi Teatri