IN-PLODERE DIsdemona. La Fabbrica del vero.
Da Otello e Othello a DISDEMONA
Implodere deriva dal latino, “in-“ prefisso che indica il movimento verso l’interno e “plodere” cioè battere, picchiare, fare uscire con la forza.
Tutto dentro, come in un enorme buco nero del vivere, del prevedere, del sentire nel corpo, in ogni parte del corpo prima che nella mente.
DIsdemona implode tutto quanto è esploso nelle azioni, nelle battaglie, nelle tragedie delle grandi eroine che ne hanno delineato la forma, o semplicemente delle donne, figure di femmine mai riconciliate.
Nell’Otello, sia di Shakespeare sia di Verdi/Boito tutto il movimento drammatico e musicale prelude al finale violento, fin dall’inizio e nel corso del plot shakespeariano è presente il progressivo scorrere verso quell’unico sbocco, l’onda si muove, sbatte e si innalza, come nella tempesta che scuote le navi di ritorno, e dell’impeto se ne avverte l’eco anche, paradossalmente, nell’assenza dell’antefatto veneziano che Boito non sceglie.
Il carattere di Desdemona si annuncia là, nell’atto che manca nel libretto ma quel decidere, al di là di ogni convenienza di figlia, è il fondamento di ogni azione successiva, di ogni premonizione futura.
I protagonisti sembrano sapere quel che avverrà, lei e Otello e Iago in una finzione a intreccio che
si avviluppa sul suo corpo, sui suoi silenzi, sulla sua presunta adesione al destino della stella cattiva.
Solo lei permetterà che tutto quanto accada, solo lei avrebbe potuto fuggire da quell’implodere della follia
e del sentimento.
Ma non succederà, sarà sua la scelta di ingoiare l’ultima stella.
Quale forma dare allora a questo modello, che potesse contenere sia l’innovazione linguistico-musicale della penultima opera verdiana sia la figura così simile alla Giulietta shakespeariana e a tante altre eroine che hanno attraversato le nostre opere - Antigone, Ecuba, Elena, Ifigenia, Diotima, Margrete, Catharina von Siena, Didone, Angelica, Ermengarda, Lady Macbeth, Cordelia, Euridice, Phoenix, Pentesilea, Giulietta appunto.
Implodere questo affresco potente di forze ribelli in un solo corpo d’attrice? In un segno contemporaneo
che ne contenga la massa necessaria a fare esplodere la drammaturgia? L’azione, il fatto?
Forse, di nuovo, nel ritornare allo zero di Hölderlin, all’immagine che dice dell’haiku, al corpo segnato,
al rumore della fabbrica e del lavoro che ha sempre abitato luogo e pensiero del nostro agire, e di nuovo Simone Weil e la sua forza letteraria, poetica e politica, nel suo in-plodere ogni dolore del mondo.
In un suono costante di onde che salgono e macchine da cucire.
Le macchine cuciono con ritmo parossistico, violento, eccitato, l’ago penetra nel tessuto della mente, dei sensi, del corpo. Le parole e i gesti delle figure maschili dell’opera tessono la trama di un tessuto avvolgente, ripetitivo, che strato su strato batte il ritmo del potere, del lavoro incessante destinato a produrre le catene drammatico-musicali, le linee di montaggio che portano le cose ad essere sempre cose, cose sempre cose.
Perché una cosa è Disdemona per Otello e Iago, proprietà e pretesto, ed è una cosa l’operaia alla macchina destinata a produrre. Come un velo (o grande fazzoletto intriso di magia) è stata cucita la sua figura, da aghi e fili di un concertato di finzione, una partitura di dare e avere a senso unico, di lontane prospettive inconciliabili, di vedute avverse come il suo destino.
Si prova la stessa empatia, patita sul campo, di Simone Weil quando descrive le lavoratrici in fabbrica, cosa fanno e cosa non dovrebbero fare, se sanno cosa stanno facendo e cosa non dovrebbero sapere, se sono sole o tutte insieme, che cosa le disgusta e che cosa le rende fiere. Le cucitrici diventano immagine reale
di una proiezione collettiva sentimentale, un coro tragico e musicale.
Disdemona è immagine di rottura, di cosa rotta poiché resa cosa, ma cosa a perdere per chi non regge la sua statura drammatica e vera.
“Non dimenticare che il SONNO è la cosa più necessaria al lavoro” scrive Weil al punto 8 di un elenco di cose ideali per le lavoratrici.
Disdemona preferisce addormentarsi, non morire in scena, per poter essere in grado domani di riprendere il lavoro, consapevole che al punto 1 di quell’elenco sull’ideale che ancora non esiste c’è scritto:
“Che ci fosse autorità solo DELL’UOMO SULLA COSA e non DELL’UOMO SULL’UOMO.”
Questo è l’unico vero bacio di Disdemona, ancora e ancora e ancora.
Disegno installativo DIsdemona
CONTATTO EMOTIVO ° PITTORICA SENTIMENTALE ° STATICA DEL DOLORE ° RADICAMENTO PLASTICO DELLA VIOLENZA
Nella Fabbrica si istituisce un nuovo piano interpretativo dell’opera verdiana: la violenza emanata dallo spazio del lavoro operaio riduce al silenzio il corpo_voce di Desdemona (Dis-demona), straziato, soffocato dal fragore della voce ‘polifemica’ di Otello_Jago e dal suono ossessivo delle macchine industriali sonorizzate in scena.
La retorica dell’atto parossistico erotico-amoroso è sostituita dalla verità della condizione di sfruttamento delle donne operaie, uccise dal lavoro alla catena di montaggio, stritolate dal primato della produzione meccanica sulla dignità della vita umana.
Nella figurazione del maschio/padrone si innestano entrambe le funzioni drammaturgiche - Otello e Jago – parimenti colpevoli della morte di Desdemona e della violenza subita da Emilia, rappresentata scenicamente da una pluralità di donne-operaie.
Nel disegno teatrale di ‘Disdemona’ la responsabilità morale dell’atto violento non è ‘spartita’ tra il potente ingannato e il sottoposto ingannatore, ma riunificata in una sola sorgente sonora, la voce trasmutata elettronicamente (live) di un unico performer bicefalo, Otello_Jago, come Ortro, il grosso cane a due teste con la coda di serpente della mitologia greca.
Lo spazio è suddiviso in 2 parti da un fondale di tulle retinato dietro al quale è in azione il cantante nel doppio ruolo di Otello/Jago.
La sua voce è amplificata e modificata elettronicamente live dal musicista Andrea Azzali.
Lo spazio agito da Otello_Jago è in un ambiente borghese illuminato da un lampadario a gocce e da un paio di appliques in stile in cui sono collocati una dormeuse in velluto rosso e legno dorato, un piccolo tavolo da pranzo.
Sul fondale vengono proiettati flussi imagoturgici di un macrocorpo femminile oggetto dei desideri del maschio/padrone/Otello/Jago.
Lo spazio frontale è occupato da un’installazione di 12 macchine da cucire e da altrettanti materassi posti a terra di fianco ai banchi di lavoro, spazio di costrizione psicofisica che non prevede distinzione tra lavoro e vita privata, tra fatica e riposo e nega alle donne qualsiasi intimità.
In questo spazio agiscono le interpreti/Desdemona/Disdemona (1 cantante e 1 attrice) e 10 movers_operaie.
A sostituire la retorica del ‘fazzoletto’ un sistema di grandi teli multipli, sudari cuciti e ricuciti ininterrottamente dalle movers_operaie durante l’azione perfomativa.
Cattiva stella
AH_MADRELINGUA DEL MOTO SENTIMENTALE
Muoio innocente
Dice della densità d’aceto del palpato ah, corda tesa fra le braccia,
quando si mostra scaglia sospiri inattesi sull’udito fine.
La buona, la bella, l’ingenua si solleva col fiato riarso.
Galoppate grida, voci acute e suonate selvatiche parole di sorriso e gemito.
Non conosce nulla se non la fatica e il male della stretta finale.
Stirpe di tragedia, la natura non dilapida le forze,
mentre Dio scarseggia nel soccorso e largheggia nella pena.
In veste da cerimonia non sta in piedi, ma si sdraia per sostenere il peso dell’affanno
nel tramonto del maschio rumoroso.
Ah_per palpebre affilate che lacrime senza colore continuano a generare.
Ah_per le fitte improvvise e le scosse di ferro al cuore della regina del lamento.
Ah_perché scompare e vibra, inumidisce, sobbalza nella lingua materna.
In fondo in fondo lasciatela essere lupa_comunista e non agnella_crista,
almeno nella forza finale del suo Ah.