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Crine

Ermengarda oratorio


Dell’Adelchi è la figura di Ermengarda ad essere trasdotta in immagini drammaturgiche che delineano corpi femminili di irriducibile bellezza, mai sottoposta al vincolo del convenzionale.

Il rimando manzoniano impone una riflessione/rifrazione sulla forza oppositiva della rinuncia al corpo fino al delirio mortale contro la brutalità del cliché.

Il progetto

LPAM - LENZ PER ALESSANDRO MANZONI



Ogni anno Lenz Fondazione dedica a una_un grande intellettuale/artista della cultura italiana un Progetto Speciale di rilettura dell’opera in chiave visuale e performativa. Con il progetto LLD Lenz Lecturae Dantis (2021) e con LPPP Lenz per Pier Paolo Pasolini (2022) Lenz ha attivato un percorso artistico che intende riattualizzare il pensiero delle figure di riferimento della letteratura italiana, e indargarne i riverberi e le influenze nella contemporaneità.


Due creazioni di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto dedicate nel 2023 ad Alessandro Manzoni a 150 anni dalla morte: Ia videoinstallazione I Promessi Sposi con le musiche di Andrea Azzali e la performance Crine, tratta dall’Adelchi e interpretata da Carlotta Spaggiari con live music di Roberto Bonati, entrambe site-specific per la ex chiesa di San Ludovico a Parma. Con Crine, nuova riedizione performativa ispirata alla tragedia manzoniana, Maestri e Pititto rimettono al centro della propria indagine performativa l’autore fondativo della letteratura italiana per provocare una riflessione profonda sulla potenza poetica e la retorica della lingua italiana.


La composizione_oratorio è un’emanazione poetica della tragedia manzoniana, il motus per un’attenta riflessione teorica sulla contemporaneità di un’opera complessa e dimenticata della nostra letteratura drammatica.


Dell’Adelchi è la figura di Ermengarda ad essere trasdotta in immagini drammaturgiche che delineano corpi femminili di irriducibile bellezza, mai sottoposta al vincolo del convenzionale.

Il rimando manzoniano impone una riflessione/rifrazione sulla forza oppositiva della rinuncia al corpo fino al delirio mortale contro la brutalità del cliché.


Ermengarda è amore psicofisico, la ferita dell’abbandono è nel corpo e nello spirito, il dolore trasfigura e cementa l’eroina rendendola muta e dura alle richieste del vivere normale.

Margrete dal Faust di Goethe, Antigone di Hölderlin, Pentesilea di Kleist, Rosaura di Calderón de la Barca, Ofelia di Shakespeare, Lucia e Gertrude di Manzoni, Didone di Ovidio e molte altre figure di donna si sono sovrapposte le une alle altre, nel tempo teatrale, fino a comporne una sola, grande monumentale come un’installazione di Christo – il grande artista statunitense di origine bulgara - sotto la quale c’è solo il vuoto, la solitudine e la libertà come pura aria.


Ermengarda diventa epifanìa d’incontro di molteplici storie vissute, d’amori infranti, sospesi, rimandati, dimenticati, imposti e liberati, figura portante di sequenze filmiche scandite come versi settenari di un coro tragico del tempo presente.


L’Ermengarda manzoniana rappresenta il culmine esistenziale e teatrale della remissione che le deriva dal rifiuto cui la condanna Carlo Magno, rendendola vittima innocente di una sofferenza impotente e spersonalizzante. L’epilogo della tragedia è il suicidio come gesto di estrema sottrazione dal sé e dal dolore dell’esistenza.

Ecco un’altra figura di donna che ama fino alla morte e nel delirio d’amore comunica direttamente al Cielo lo stupore mortale di fronte al proprio abbandono. Ermengarda dell’Adelchi manzoniano non si arrende alla realtà della Storia, quella che i potenti maschi decidono, ma si concede totalmente al proprio sentimento, all’intima storia di amante che tutta la passione contiene, nel non detto, nel non dichiarato, nella casta costrizione dentro al proprio Io.


E, come una Pentesilea delirante e lieve, lascia che Eros e Thánatos la conducano per mano oltre il margine della vita. Il coro, in soggettiva, non può che descrivere il suo ricongiungersi alla Natura intonando un requiem in progress davanti al suo corpo muto. Soltanto una sensibilità d’attrice altrettanto potente e lieve può esperire, senza finzione, un tale culmine di pathos e forza espressiva.


Nell’Adelchi la Storia è contemplata attraverso il dramma interiore dei protagonisti, sublimato in una visione religiosa della vita. Adelchi ed Ermengarda sono spiriti ricchi di contrasti fra ideali e sentimenti - la pace e la gloria per il primo, l’amore ancora vivo del marito per la seconda. Vivono per alti e nobili ideali, comprendono le angosce e sofferenze degli altri e trovano solo nella morte la piena realizzazione della loro complessa e travagliata personalità.


Adelchi, prima di morire, dirà che sulla terra “non resta che far torto o patirlo”: si tratta del tipico pessimismo giansenistico, a cui si può opporre una concezione provvidenziale del dolore, la sofferenza è un dono di Dio poiché prova che non si è fatto il male.


Ermengarda è incarnata dall’attrice sensibile Carlotta Spaggiari. Inizia la sua formazione nei laboratori teatrali di Lenz rivolti a persone neurodivergenti e diventa straordinaria interprete di numerose creazioni performative dell’ensemble di Parma: esordisce nel ruolo della Monaca di Monza bambina ne I Promessi Sposi (2013) e successivamente è protagonista dell’Adelchi (2014) trasfondendosi nel corpo-martire di Ermengarda; attraversa le fantasmagorie ariostesche come Angelica ne Il Furioso (2015-2016); è performer ne Il Paradiso di Dante e Aktion T4 (entrambi del 2017), poi magnifica incarnazione scenica di Cassandra nell’Orestea di Eschilo (2018-2021); è tra le/gli interpreti del grande affresco calderoniano de La vita è sogno (2021) e coprotagonista nella recente messinscena di Catharina von Siena (2022) opera del visionario drammaturgo romantico Jakob Lenz.


In questo progetto scenico si sostanzia la ricerca pluriennale di un “verbo” pedagogico che renda le persone neurodivergenti in grado di esprimere le emozioni silenziate attraverso le stimolazioni drammaturgico-sensorialidell’esperienza teatrale. Attraverso questo processo si ribalta la prospettiva dalla quale guardare alla sensibilità: gli apparenti limiti cognitivi e comportamentali delle persone sensibili non sono più sintomi di un deficit patologico ma divengono elementi da elaborare e tradurre in linguaggio estetico contemporaneo, attraverso il confronto e l’agone con i grandi testi classici.

Introduzione

Dipinti in sequenza

Francesco Pititto


Una cinghialessa avanza nel bosco, uno scoiattolo tra i rami, due lumache in corteggiamento, un corpo d’uomo vecchio e nudo. Un volto di donna in primissimo piano, la bocca e i denti e gli occhi e il parlare muto all’altra sé nello spazio reale, e anche a te spettatore che le osservi entrambe.


Lei è cinghialessa braccata, circondata e ferita, in metamorfosi di scoiattolo in fuga tra i rami, sognando – ermafrodita - amplessi senza maschi in veste di limacide, mentre un corpo maschile si contorce inadatto, goffo in un movimento ad anello. Lei si e ci guarda dal quadro videografico, dice senza parole nello scuro di una bocca che attira e ingoia il verso delle “trecce morbide”.


È il volto dell’attrice in immagine dialogante con il suo doppio corporeo, amazzone a due teste, libera di morire dentro e fuori la battaglia.


Ogni quadro video è in bianco e in nero, tranne l’amplesso tra le due Arionidi, molluschi gasteropodi senza conchiglia, senza casa, senza scudo a difendere il corpo esposto. Il colore appare solo per i due molluschi, cromatismi cangianti nel movimento rotatorio dall’alto verso il basso.


Note di malacologia e conchigliologia:


Le lumache sono ermafrodite e il corteggiamento consiste in una serie di giri su loro stesse, convulsioni e strofinamento di corpi. Sopra un muro si calano sospese a mezz’aria, attaccate a due sottili fili di muco.

Da una piccola apertura sul lato destro della testa iniziano a far fuoriuscire i loro organi riproduttivi di un azzurro translucido, si avvolgono l’un l’altra creando forme, coreografie fantastiche. Alle fine dell’amplesso tutte e due saranno state fecondate.



Esposizione del corpo nell’architettura ripudiata o della nudità elettrica nello spazio sacrificale

Maria Federica Maestri



  • ILLUMINARE I RESTI DELL’EDIFICIO ECCLESIALE
  • RESTAURARE LO SPAZIO ANATOMICO DELL’AGONIA DELLA MARTIRE
  • EVIDENZIARE LE TRACCE DELLA DEVASTAZIONE ELETTRICA


MARTIRIO

Per l’esposizione del martirio di Ermengarda, il grande spazio ecclesiale di San Ludovico è rivelato nella sua estrema nudità.


VIOLENZA

Deve essere visibile in piena luce la violenza perpetrata sull’edificio cultuale, sconsacrato e adibito a centrale elettrica agli inizi del Novecento, in perfetta e tragica analogia con il corpo femminile, umiliato e ripudiato dalla brutalità funzionale della società patriarcale.


LUMEN

Niente sia nascosto o mitigato dal tepore sentimentale e salvifico della provvidenza.


CACCIA

Lo spazio è attraversato da quattordici aste lignee in misura e forma simili alle lance medievali per la caccia al cinghiale.


ANATOMIA

La chiesa testimone/martire è lo spazio anatomico dell’atto venatorio e dell’agonia di Ermengarda.


TANE

Lei, come l’animale, inseguita, catturata, ferita, sanguinante spirerà cercando in cinque tane nere il buio e la pace della morte.



Legno su legno. Per Crine_Ermengarda

Roberto Bonati


Una chiara consapevolezza della morte.

Tutta l’arte è in rapporto con la morte.

Mark Rothko



Legno su legno.

Io contrabbasso, quindicesima lancia, la più viva, la più ferale.

In dialogo, in lotta con corpo e voce di donna,

con corpo di cinghiala.

E ritrovarsi.

Ritrovarsi con Maria Federica nel lavoro, con qualche cicatrice in più ma lo sguardo

sempre appassionato. Uno sguardo dal cuore.

Ritrovarsi In un lavoro che ci parla di morte, attraverso una vita, per vincerla la morte.




Il mio lavoro come strumento/personaggio si è realizzato nella creazione di un percorso a due voci tra scrittura e improvvisazione che prende vita attraverso la Via Crucis di Ermengarda.


Ho voluto mantenere vivo un lato performativo, di composizione istantanea, uno spazio di invenzione flessibile, nel quale la musica in dialogo/scontro con la voce di Carlotta possa rivelarsi simile ma sempre diversa in ogni replica, uno spazio di rischio, un suono che cammina sul filo, perciò ogni quadro prevede e propone un’idea, un materiale musicale che viene utilizzato come seme per una creazione improvvisa.


Di prova in prova la voce/suono di Carlotta e il suono del mio strumento in relazione con il silenzio e l’acustica della chiesa, hanno preso un ritmo e un fluire animato, creando un preciso e vivo spazio sonoro.

Media

Crediti

Da Adelchi di Alessandro Manzoni

Creazione Maria Federica Maestri, Francesco Pititto

Drammaturgia, imagoturgia Francesco Pititto

Installazione, composizione Maria Federica Maestri

Interprete Carlotta Spaggiari

Composizione ed esecuzione musicale dal vivo Roberto Bonati

Cura Elena Sorbi

Organizzazione Ilaria Stocchi

Comunicazione, ufficio stampa Elisa Barbieri

Cura grafica, diffusione Alessandro Conti

Cura tecnica Alice Scartapacchio, Dino Todoverto

Assistente di produzione Giulia Mangini

Documentazione fotografica Elisa Morabito

Produzione Lenz Fondazione, Natura Dèi Teatri, ParmaFrontiere Associazione Culturale


Con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna, Comune Parma, AUSL DAI SM-DP, Università di Parma

Rifrazioni

Rumor(s)cena


Maria Dolores Pesce

La pienezza della perdita


Sotto le sue antiche volte, che trasudano e riflettono, rimandandosele l’une alle altre, le concrete suggestioni di quei nomi e di quei tempi, quasi a intimidire suggerendo i modi del transito scenico, la installazione di Maria Federica Maestri è una mappa fatta di punti, di linee e di transiti da interpretare, di cui le aste lignee (alte come le medievali lance per la caccia ai cinghiali) costituiscono gli snodi attorno ai quali si dipana la narrazione.


Sullo sfondo immagini-metafora, nel più puro senso benjaminiano, in cui, tra cinghialesse e lumache in riproduzione, i significati rintracciati si ‘trasferiscono’ per essere illuminati, e dentro questo luogo, enfatizzando le ferite che la storia ha inferto su di esso, l’attrice sensibile, la molto dotata all’arte della recitazione Carlotta Spaggiari, gioca la sua partita con la vita e con l’altro, gettando la sua atletica ombra di racchetta munita sullo schermo di luce, fugge e si divincola dal martirio di un ripudio che il suo amore non accetta e che subisce, simile alla violenza di un contemporaneo e purtroppo attualissimo ‘femminicidio’, fino alla morte.

Il giornale della musica


Alessandro Rigolli

La fredda e sublime agonia di Ermengarda


Un fondale al tempo stesso freddamente levigato e intriso di una disperata – e disperante – vitalità, che rimbalzava dalle immagini in bianco e nero che proiettavano il loro riverbero nello spazio – la presenza ispida e selvaggia di una cinghialessa, il viscido intreccio amoroso di due lumache, la fatale e disarticolata decadenza del corpo di un vecchio, il muto anelito, smarrito e scomposto, di un volto femminile – e dall’impasto di parole e movimenti di Carlotta Spaggiari, efficace e diretta presenza scenica al centro di un dialogo tratteggiato in profondo e intimo contrappunto con il racconto liricamente essenziale intagliato dal suono del contrabbasso di Roberto Bonati.


Un percorso pregnante, che ha condotto idealmente per mano – una mano dalla presa sicura e glaciale al tempo stesso – al tragico suicido della stessa Ermengarda un pubblico che – alla seconda recita alla quale abbiamo assistito – ha salutato lo spettacolo con un successo decisamente convinto.