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Catharina von Siena

Progetto Lenz di Lenz


Nel teatro mistico lenziano il riferimento alla Santa di Siena è puramente immaginario: da iniziale tragedia di una pittrice, Catharina von Siena diventa la lotta di una santa che combatte le tentazioni con la penitenza e le ingiustizie del mondo con la preghiera.

Il progetto

LENZ DI LENZ



È un progetto triennale che conferma la fertile attualità delle visioni di J.M.R. Lenz attraverso le originali riedizioni drammaturgiche e imagoturgiche di quattro opere: Catharina von Siena, Shakespears Geist, I Soldati e la novella Lenz che Georg Büchner scrisse ispirandosi alla vita di Lenz.


Jakob Michael Reinhold Lenz vissuto nella seconda metà del Settecento è autore nomade e inquieto, a tratti toccato da turbe psichiche, illuminazione romantica per Georg Büchner e virtù moderna di Bertolt Brecht. Anticipò, con la sensibilità sociale premarxista dei suoi drammi, i grandi temi del Novecento: l’antimilitarismo, l’ingiustizia sociale, la violenza contro le donne, la critica al patriarcato e al potere maschile dominante.


È sotto il segno della sua filosofia antiretorica della crisi dell’uomo occidentale, che Maestri e Pititto fondano, nel 1985, Lenz Rifrazioni, progettualità artistica teatrale, visiva e performativa riconosciuta come una delle più originali nel teatro di ricerca italiano ed europeo.


Introduzione


Già allestito dall’ensemble in tre differenti versioni nel 1987, nel 2000 e nel 2004, è un dramma incompiuto che rimane significativo nel percorso artistico di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, perché nel furore adolescenziale delle prime apparizioni, nella sofferenza delle visioni giovanili, nell'estasi mistiche della maturità si rispecchiano in autentico ritratto le età poetiche di Lenz Fondazione.


Nella versione 2022 la protagonista rimane sempre Sandra Soncini - ‘interprete estrema' dell’opera -, accompagnata dalle performer Carlotta Spaggiari e Tiziana Cappella, mentre il disegno sonoro di Andrea Azzali rielabora le musiche della precedente versione create insieme ad Adriano Engelbrecht. Nel teatro mistico lenziano il riferimento alla Santa di Siena è puramente immaginario: da iniziale tragedia di una pittrice, Catharina von Siena diventa la lotta di una santa che combatte le tentazioni con la penitenza e le ingiustizie del mondo con la preghiera. La nuova versione traduce artisticamente l’intensità della prassi spirituale di Santa Caterina, trasformandola in riverbero mistico della liberazione e affermazione del corpo contemporaneo, indisciplinato, difforme, irregolare e marginale.


Nell’invenzione drammaturgica, Caterina affonda in un paesaggio biografico distorto, dove insieme ad alcune figure assunte dall’agiografia della santa ne compaiono altre inattese, quali quella del Correggio, vissuto secoli dopo, in una mescolanza esaltante di imprecisioni letterarie e fraintendimenti storici tipici del Romanticismo tedesco e della scrittura immaginifica di Lenz.


Nell'installazione composta di dieci lavabi incolonnati in cui scorre il verbo cromatico del doppio viso di Gesù – un giovinissimo Cristo giovane nel Tempio (1513) e una Testa di Cristo incoronata di spine (1521), si scolpisce il tempo dell’azione mistica: Caterina è il fenomeno di Dio, in essa si incidono le tracce della sua presenza. Azione santa e divina contemplazione si compiono in dodici prove, ognuna delle quali rivela la materia e lo spazio dell’epifania. L'opera è una successione di ardue prassi santificanti che portano Caterina alla beatitudine. La sposa celeste, agnella penitente, si fa respiro, saliva, unguento di Gesù nel pieno compimento del flagello.


Il corpo di Caterina, nutrita solo dall’ostia e dal sangue, chiede con voce acuta di appartenere all’immondo dell’eccesso e di tornare all’extramondo della sua natura infantile. Beata perché senza cibo, beata perché dissetata dal suo stesso sputo, beata perché sporca e senza dignità. Caterina annega nel regno delle giovinezze dalle venosità livide e rigonfie, delle regine dalle ossa sporgenti, delle scolare del rigurgito eterno. La piccola Caterina vuole morire. Vuole morire nel teatro. E il teatro deve morire in Caterina, diventando esso stesso freddo, muto e rigido. La sua resurrezione è nella verità del corpo, senza identità, senza volontà, senza necessità, libero di essere la fragola rossa di Dio.




IMAGOTURGIA DELLA SANTA, DEL PITTORE E DELLA FRAGOLA

Francesco Pititto


Già nella prima versione di Catharina von Siena del 1987 lo spazio scenico conteneva immagini. Erano sequenze filmate dal vivo di Café Müller di Pina Bausch, rappresentazione visiva della Passione coreografica della danza e del teatro che apriva una nuova prospettiva di linguaggio e ricerca artistica. La santità irriducibile di Caterina e l’irriducibile etica creativa di Pina.

Poi, nel 2003 per la prima versione de La vita è sogno da Calderón de la Barca l’immagine pittorica, in particolare della Pietà di Antonello da Messina – Cristo in pietà e un angelo - ripreso al Prado, si imponeva come elemento estetico/estatico determinante della drammaturgia. Una trasfigurazione in corpo femminile diventava la rifrazione del dipinto, composta dal vero e poi riconvertita in immagine. In quel tempo inventai il neologismo “imagoturgia”, l’immagine era scrittura viva, tanto quanto il corpo dell’att* in scena.

La Pietà di Antonello e la Pietà del Teatro, bellezza e durezza, umanità e animalità dei sensi, di ragione e sragione.


La figura di Cristo, il suo volto-corpo e l’angelo ci avrebbero assistiti in diverse età creative e di ricerca poetica.



_ein Engel hinmuß, der die Bälge hochreißt.

Engel und Puppe: dann ist endlich Schauspiel.

un angelo viene a metter dritti i pupazzi.

Angelo e marionetta: adesso è il teatro.

Rainer Maria Rilke, da “Die vierte Elegie”


In questa remise-en-act di Catharina di J.M.R.Lenz il volto di Cristo ritorna, come il Cristo giovane nel Tempio e il Volto di Cristo del Correggio, per compenetrarsi nel volto/testa di Santa Caterina reliquia. Quel che rimane del suo involucro materiale e mortale.

Un oltre la morte per ricongiungersi all’Amato, finalmente fuori dal corpo fisico e dalle misere tentazioni umane. Sull’immagine stesa a terra viene versato il liquido della sofferenza, i fluidi colorati della malattia e del dolore della carne, così simili al cromatismo dei dipinti. Quasi a riempire di materia vera il colore velato e finto della sagoma di luce, come sommarsi delle onde elettromagnetiche che, raggiunti i sensori del cervello, ne determinano la visione e la fine.

Infine la fragola, il finto frutto che contiene il frutto vero che sono poi i piccoli semi gialli che sono gli acheni, la fragola, l’unica a compenetrare il seme e mostrarlo all’esterno, esporlo senza pudore, tutti immersi nel rosso sangue del suo colore. Tutti immersi nel corpo carnoso, voluttuoso e protettivo di una fragola grande come l’Universo.

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Crediti

Riscrittura, imagoturgia | Francesco Pititto

Composizione, installazione, involucri | Maria Federica Maestri

Musica | Andrea Azzali, Adriano Engelbrecht

Interprete | Sandra Soncini

Performer | Carlotta Spaggiari, Tiziana Cappella

Cura tecnica | Alice Scartapacchio, Giulia Mangini

Cura progetto | Elena Sorbi

Organizzazione | Ilaria Stocchi

Ufficio stampa e comunicazione | Elisa Barbieri

Diffusione e promozione | Alessandro Conti

Documentazione fotografica | Elisa Morabito

Produzione Lenz Fondazione

Rifrazioni

Gagarin


Michele Pascarella

Catharina von Siena di Lenz: durezza e bellezza


È una sorta di opera d’arte totale à la Wagner, questa Catharina di Lenz, in cui molte arti si compenetrano per elidersi a vicenda e lasciar affiorare, potremmo dire con Grotowski, something third, né personale né storico ma trascendente, aggettivo che, vale forse ricordarlo, nell’etimologia rimanda allo scavalcare fisicamente un ostacolo.


Sembra di poter sintetizzare che i molti elementi che di concerto compongono la scena, questa scena, siano intesi da Maestri come trampolino (Grotowski, ancora) per sporgersi verso un altrove (santo? santificato?) che fa coincidere il fatto teatrale e la propria origine rituale nel segno, salvifico e vertiginoso, del mistero.


I lavabi allineati in scena contengono, in purezza, i colori-base che comporranno le liquefatte imagoturgie di Pititto, come se i volti sacri non possano persistere al cospetto dell’umano troppo umano che, di fronte a loro, accade: che siano nascite o trasalimenti, invocazioni o esortazioni poco cambia, si tratta sempre di un’umanità inconsolata e scalciante, quella che Lenz celebra e (rap)presenta.