IMMAGINE MUTA E LOGOS
Francesco Pititto
L’Apocalisse di Giovanni, o di altro visionario, è un boato di immagini. Un fragore e uno schianto misto a lampi e tuoni in un cielo cupo e abbagliante insieme, dal quale escono figure proteiformi, mutaforma carichi di simboli e poteri distruttivi, portatori di catastrofiche punizioni e grandi magnifiche apparizioni profetiche come la Donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sulla testa una corona di dodici stelle.
I due pilastri della drammaturgia, però, si rivolgono in particolare alla questione della quantità intesa come somma di individui accomunati da una missione profetica – tra conquista e terra promessa – e a quella dell’acqua, elemento vitale al raggiungimento degli scopi divini e umani, alla rappresentazione conscia e inconscia di questo elemento. Il campo di battaglia dell’immaginazione è ampio quanto l’universo, il rombo sismico che travolge ogni confine del reale raggiunge l’apice di un concerto di luce e di buio dove tutto pare fermarsi, le forme mutanti e lo spazio intorno, all’unisono con le strabilianti onde elettromagnetiche.
Poi viene l’Agnello e il tempo si ferma, come sull’orizzonte degli eventi. L’agnello ha occhi umani e ci guarda, ci insegna, l’imprinting fa scorrere veloce dentro di noi l’altro boato di immagini che sono il nostro presente, crude reali e vere.
La visione ci appartiene perché è quel che vediamo, viviamo, e che delinea la nostra apocalisse rivelando e svelando il nostro cataclisma interno ed esterno, il nostro essere gettati nel mondo e lo stesso mondo in cui viviamo per un tempo insignificante, una scintilla.
Il sacro è immagine dall’inizio, penso che ogni religione abbia all’origine un’immagine, anche quelle che non contemplano la figura umana o il volto compongono segni e scritture, costruiscono templi e luoghi sacri dalle forme grandiose che prima ancora di essere frequentati hanno lo scopo di essere immaginati, narrati, visitati prima dalla fede e poi dall’incessante errare pellegrino di ogni essere umano.
Almeno una volta nella vita si dice per alcuni credenti, ma nel frattempo già l’immagine si è formata nel corpo e nell’anima, magari tramite forme e colori differenti, visioni diverse. L’immagine è sacra e profana al contempo, nella nostra Apocalisse l’imagoturgia si relaziona con lo spazio esistente ricostruito per l’azione, imprime sui muri echi figurativi rinascimentali e contemporanei, l’Agnello di Dio è tra gli agnelli al pascolo, è tra i bambini e le cicogne della discarica di Dandora, tra le pastore resistenti ed erranti tra monti e valli, in transumanza perenne tra natura e poesia.
La cupola roteante del Correggio di San Giovanni Evangelista accarezza la volta in ferrocemento di Pierluigi Nervi e abita la cupola della Fabbrica, luogo di lavoro operaio e vicende umane, fatica e sacrificio. L’azione, la voce, il canto dal vivo e l’immagine fanno da ponte tra quelli che partecipano al rito e quelli che il rito lo compiono, insieme di nuovo al capro espiatorio, al dionisiaco.
L’imagoturgia di questa Apocalisse entra in relazione con gli spazi interni del grande complesso industriale, la composizione è realizzata tramite diverse modalità realizzative: la sovrimpressione di più immagini, in particolare – la cupola del Correggio della chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma -, riprese documentaristiche di agnelli e pecore al pascolo, riprese dal vivo della discarica apocalittica di Nairobi – danno forma visuale a più strati, in un movimento d’insieme corale.
La sovrimpressione è stata ampiamente utilizzata dagli autori cinematografici negli anni ’20 e successivi con i primi esperimenti di surrealismo e futurismo visuale, come gli occhi roteanti di desiderio nella sequenza di Maria’s Dance, Brigitte Helm come lasciva Babilonia, in Metropolis (Apocalittica) di Fritz Lang, poi in seguito – ricordo i meravigliosi occhi daliniani nel sogno ipnotico di “Io ti salverò” di Hitchcock – è diventata pratica stilistica sempre più raffinata, così come l’illusione ottica.
Nella Sala dei Busti apparirà in lentissima dissolvenza incrociata la testa dell’Agnello mistico dell’altare di Gand, nel Polittico di van Eyck, prima e dopo il famoso restauro molto contestato. Gli occhi dell’Agnello, prima quasi invisibili e laterali, riemergono frontali e quasi umani.
Dal terrore dell’animale senza parola si torna alla parola che vive, al Logos.
SEPARAZIONE E NOZZE NELL’APOCALISSE
Maria Federica Maestri
La composizione installativa di questa Apocalisse è l’esito di un atto estetico di rivelazione, significato primo di αποκάλυψη, e deve essere originato da un’azione artistica separatrice.
I
Levare il velo e separare le cose nascoste dall’involucro opaco che le avvolge.
Essere pieni di occhi davanti e dietro.
II
Mettere il collirio per vedere l’estensione fisica del sacro dove non appare: la Fabbrica è il corpo architettonico dove si sono compiuti sacrifici meccanici.
III
Misurare il nuovo Tempio e trafugare elementi strutturali dalla vicina abbazia dedicata al testimone tremante – l’Evangelista Giovanni.
IV
Estrarre dall’edificio cultuale formalmente conveniente e regolato, i volumi verticali – i pilastri - ed espanderli fratturati e separati nella superficie scenica della nuova
Città-Sposa-Operaia.
IV
Staccare l’aquila manierista dalla facciata di marmo e traslocare la rapace sbiancata nel Padiglione
della ripetizione infinita.
VI
Sciogliere il sigillo del libro nel ciborio ghiacciato - in bocca dolce come il miele e nelle viscere amaro.
VII
Coronare la volta di visioni di Agnelli immolati, di acque amare, di ‘guai’, di spiriti anziani e gridare come leoni.
VIII
Il cammino è trapuntato di flagelli visivi, moltitudini ovine in lacrime, giardinieri di miseria, uccelli sterminatori di rifiuti.
IX
Nel passaggio: idoli seducenti, segnali cementati in replica volgare di poteri e glorie del passato, una Babilonia d’arredo per i monetaristi ubriachi di ricchezza.
X
Gli assalti frontali mossi dalla Bestia-bellezza, bianca e morente, non domata dall’avvento dei Giusti senza il marchio di armonia, ritardano l’ultima rivelazione.
XI
Apertura delle schiscette per il grande banchetto.
XII
Avere il diritto alla carrucola – albero della vita.
XIII
La visione finale del carro meccanico, matematica celeste che sospende i pilastri senza peso e senza testa,
e la salita al tabernacolo dorato.
XIV
Visione della Città nuova dove non si chiuderanno mai le porte e non ci sarà più notte.