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Apocalisse

Progetto Sacre Scritture 2021 ~ 2024


Il quadro immaginativo dell’opera è l’Apocalisse di Giovanni, una riflessione/azione sull’essere umano al tempo della sua massima crisi e delle sue minime prospettive di sopravvivenza, al termine di un progressivo deteriorarsi del suo spazio vitale, nell’era dell’Antropocene.

Il progetto

LE SACRE SCRITTURE

Progetto quadriennale drammaturgico e di cultura visuale 2021_2024


La riflessione estetica quadriennale di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto sulle letterature del sacro giunge alla terza fase con l’Apocalisse. Dopo l’apparire dell’uomo e della donna sulla terra con la La Creazione (2021), l’Apocalisse prosegue il tragitto concettuale di Numeri (2022), in quanto riflessione/azione/visione contemporanea sull’essere umano al tempo della sua massima crisi e delle sue minime prospettive di sopravvivenza nell’era dell’Antropocene.


Con l’Apocalisse l’impulso artistico di Lenz alla contaminazione di complessi monumentali e di grandi spazi urbani - Pilotta, Teatro Farnese, Abbazia di Valserena, Reggia di Colorno, Tempio della Cremazione, Ex-Carcere di San Francesco, Ponte Nord - sperimentato in molteplici forme in precedenti allestimenti, segna una nuova tappa con la scelta di trasferire scenicamente la nuova creazione in un luogo di riferimento storico-culturale della città: il Padiglione Nervi e l’area Wopa di Via Palermo, imponente complesso architettonico di archeologia industriale, ex sede dell’opificio meccanico Manzini, situato nella periferia storica di Parma, caratterizzata dalla prima espansione industriale degli inizi del ‘900, a poche centinaia di metri dall’attuale sede di Lenz Teatro.


Il campo visuale si sviluppa in consonanza e contrasto con la trasfigurazione pittorica dell’Apocalisse nella cupola del Correggio nella Chiesa di San Giovanni Evangelista e due luoghi simmetrici e opposti: i paesaggi montani dove pascolano libere pecore e agnelli, con estrazioni dal lavoro della documentarista Anna Kauber e le riprese realizzate da Julius Muchai dell’Associazione Amici di Kibiko dello slum di Nairobi Dandora / Korogocho, discarica a cielo aperto ritenuta l’area più inquinata del pianeta e divenuta fonte di reddito per le organizzazioni criminali, attraverso il riciclo e la rivendita di rifiuti raccolti dalla popolazione locale, in maggioranza donne e bambini.

Introduzione

IMMAGINE MUTA E LOGOS

Francesco Pititto


L’Apocalisse di Giovanni, o di altro visionario, è un boato di immagini. Un fragore e uno schianto misto a lampi e tuoni in un cielo cupo e abbagliante insieme, dal quale escono figure proteiformi, mutaforma carichi di simboli e poteri distruttivi, portatori di catastrofiche punizioni e grandi magnifiche apparizioni profetiche come la Donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi e sulla testa una corona di dodici stelle.


I due pilastri della drammaturgia, però, si rivolgono in particolare alla questione della quantità intesa come somma di individui accomunati da una missione profetica – tra conquista e terra promessa – e a quella dell’acqua, elemento vitale al raggiungimento degli scopi divini e umani, alla rappresentazione conscia e inconscia di questo elemento. Il campo di battaglia dell’immaginazione è ampio quanto l’universo, il rombo sismico che travolge ogni confine del reale raggiunge l’apice di un concerto di luce e di buio dove tutto pare fermarsi, le forme mutanti e lo spazio intorno, all’unisono con le strabilianti onde elettromagnetiche.


Poi viene l’Agnello e il tempo si ferma, come sull’orizzonte degli eventi. L’agnello ha occhi umani e ci guarda, ci insegna, l’imprinting fa scorrere veloce dentro di noi l’altro boato di immagini che sono il nostro presente, crude reali e vere.


La visione ci appartiene perché è quel che vediamo, viviamo, e che delinea la nostra apocalisse rivelando e svelando il nostro cataclisma interno ed esterno, il nostro essere gettati nel mondo e lo stesso mondo in cui viviamo per un tempo insignificante, una scintilla.


Il sacro è immagine dall’inizio, penso che ogni religione abbia all’origine un’immagine, anche quelle che non contemplano la figura umana o il volto compongono segni e scritture, costruiscono templi e luoghi sacri dalle forme grandiose che prima ancora di essere frequentati hanno lo scopo di essere immaginati, narrati, visitati prima dalla fede e poi dall’incessante errare pellegrino di ogni essere umano.


Almeno una volta nella vita si dice per alcuni credenti, ma nel frattempo già l’immagine si è formata nel corpo e nell’anima, magari tramite forme e colori differenti, visioni diverse. L’immagine è sacra e profana al contempo, nella nostra Apocalisse l’imagoturgia si relaziona con lo spazio esistente ricostruito per l’azione, imprime sui muri echi figurativi rinascimentali e contemporanei, l’Agnello di Dio è tra gli agnelli al pascolo, è tra i bambini e le cicogne della discarica di Dandora, tra le pastore resistenti ed erranti tra monti e valli, in transumanza perenne tra natura e poesia.


La cupola roteante del Correggio di San Giovanni Evangelista accarezza la volta in ferrocemento di Pierluigi Nervi e abita la cupola della Fabbrica, luogo di lavoro operaio e vicende umane, fatica e sacrificio. L’azione, la voce, il canto dal vivo e l’immagine fanno da ponte tra quelli che partecipano al rito e quelli che il rito lo compiono, insieme di nuovo al capro espiatorio, al dionisiaco.


L’imagoturgia di questa Apocalisse entra in relazione con gli spazi interni del grande complesso industriale, la composizione è realizzata tramite diverse modalità realizzative: la sovrimpressione di più immagini, in particolare – la cupola del Correggio della chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma -, riprese documentaristiche di agnelli e pecore al pascolo, riprese dal vivo della discarica apocalittica di Nairobi – danno forma visuale a più strati, in un movimento d’insieme corale.


La sovrimpressione è stata ampiamente utilizzata dagli autori cinematografici negli anni ’20 e successivi con i primi esperimenti di surrealismo e futurismo visuale, come gli occhi roteanti di desiderio nella sequenza di Maria’s Dance, Brigitte Helm come lasciva Babilonia, in Metropolis (Apocalittica) di Fritz Lang, poi in seguito – ricordo i meravigliosi occhi daliniani nel sogno ipnotico di “Io ti salverò” di Hitchcock – è diventata pratica stilistica sempre più raffinata, così come l’illusione ottica.


Nella Sala dei Busti apparirà in lentissima dissolvenza incrociata la testa dell’Agnello mistico dell’altare di Gand, nel Polittico di van Eyck, prima e dopo il famoso restauro molto contestato. Gli occhi dell’Agnello, prima quasi invisibili e laterali, riemergono frontali e quasi umani.

Dal terrore dell’animale senza parola si torna alla parola che vive, al Logos.




SEPARAZIONE E NOZZE NELL’APOCALISSE

Maria Federica Maestri


La composizione installativa di questa Apocalisse è l’esito di un atto estetico di rivelazione, significato primo di αποκάλυψη, e deve essere originato da un’azione artistica separatrice.


I

Levare il velo e separare le cose nascoste dall’involucro opaco che le avvolge.

Essere pieni di occhi davanti e dietro.


II

Mettere il collirio per vedere l’estensione fisica del sacro dove non appare: la Fabbrica è il corpo architettonico dove si sono compiuti sacrifici meccanici.


III

Misurare il nuovo Tempio e trafugare elementi strutturali dalla vicina abbazia dedicata al testimone tremante – l’Evangelista Giovanni.


IV

Estrarre dall’edificio cultuale formalmente conveniente e regolato, i volumi verticali – i pilastri - ed espanderli fratturati e separati nella superficie scenica della nuova

Città-Sposa-Operaia.


IV

Staccare l’aquila manierista dalla facciata di marmo e traslocare la rapace sbiancata nel Padiglione

della ripetizione infinita.


VI

Sciogliere il sigillo del libro nel ciborio ghiacciato - in bocca dolce come il miele e nelle viscere amaro.


VII

Coronare la volta di visioni di Agnelli immolati, di acque amare, di ‘guai’, di spiriti anziani e gridare come leoni.


VIII

Il cammino è trapuntato di flagelli visivi, moltitudini ovine in lacrime, giardinieri di miseria, uccelli sterminatori di rifiuti.


IX

Nel passaggio: idoli seducenti, segnali cementati in replica volgare di poteri e glorie del passato, una Babilonia d’arredo per i monetaristi ubriachi di ricchezza.


X

Gli assalti frontali mossi dalla Bestia-bellezza, bianca e morente, non domata dall’avvento dei Giusti senza il marchio di armonia, ritardano l’ultima rivelazione.


XI

Apertura delle schiscette per il grande banchetto.


XII

Avere il diritto alla carrucola – albero della vita.


XIII

La visione finale del carro meccanico, matematica celeste che sospende i pilastri senza peso e senza testa,

e la salita al tabernacolo dorato.


XIV

Visione della Città nuova dove non si chiuderanno mai le porte e non ci sarà più notte.


Media

Crediti

Drammaturgia, imagoturgia Francesco Pititto

Composizione, installazione, involucri Maria Federica Maestri

Musica Andrea Azzali

Interpreti Valentina Barbarini, Fabrizio Croci, C.L. Grugher, Sandra Soncini, Tiziana Cappella

Soprano Victoria Vasquez Jurado

Cura progetto Elena Sorbi

Organizzazione Ilaria Stocchi

Comunicazione, ufficio stampa Elisa Barbieri

Diffusione, cura grafica Alessandro Conti

Cura tecnica Alice Scartapacchio

Assistente Giulia Mangini

Assistenza tecnica Lucia Manghi, Paolo Romanini, Dino Todoverto

Estrazioni documentarie Anna Kauber

Riprese video Julius Muchai // Associazione Amici di Kibiko ODV

Documentazione fotografica Anna Kauber

Produzione Lenz Fondazione

Rifrazioni

Hystrio


Giuseppe Liotta

Hystrio 4/2023


La rappresentazione sta alla larga da qualsiasi tipo di convenzione scenica/teatrale e procede, in maniera spesso stratificata, per accumulo di situazioni: una serie di momenti epifanici, di apparizioni improvvise dove si rivelano le condizione storiche e materiali che ostacolano la vita spirituale e concreta dell’uomo sulla terra.


Un esplicito richiamo alla Classe morta di Kantor ci riporta su un terreno più strettamente teatrale, mentre si fatica ad accettare quel liturgico e panico pensiero teatrale che mette tutto insieme, reale e virtuale, corpo e anima, sculture e attori in carne e ossa, simmetrie e squilibri perforativi, ricerca della condivisione con lo spettatore e il suo palese, voluto spaesamento.


Huffpost


Mario De Santis

«L’ Apocalisse, una catastrofe quotidiana»


“Apocalisse”, passo ulteriore del lavoro rigoroso che contraddistingue Lenz Teatro, in modo poetico sovrappone le narrazioni apocalittiche bibliche a quelle catastrofiche dell’Antropocene, rileggendone il cuore mistico come profezia del infra-tempo. Il suo focus non è il futuro ultimo o la fine della storia, ma il fine di essa che si rivela non nel sacrificio dell’Agnella che si compie prima della Gerusalemme celeste ma, nella catastrofe quotidiana, è presa di coscienza di una storia che si rivela anche nei suoi choc.

Nel passato che rivela un futuro in una voragine immaginifica, quale è anche un’opera d’arte come “Apocalisse” di Lenz, che – con i suoi intrecci di logos e imago – illumina da dentro.

paneacquaculture.net


Renzo Francabandiera

«L’Apocalisse di Lenz fra espressionismo scenico ed estetica neoclassica»


Si tratta di una creazione rara e maestosa nella sua portata, una sfida davvero incredibile considerando che l’ambiente è occupato quotidianamente anche dal cantiere di restauro e con cui, durante le prove, gli artisti hanno dovuto alternarsi in un tentativo di insinuare l’arte in un contesto davvero complesso. Ecco quindi che la creazione, nella sua assoluta limpidezza, nella coerenza che contraddistingue l’opera di Lenz, potremmo dire quasi le ossessioni formali dei due registi, si eleva a un livello artistico notevole.

dramma.it


Maria Dolores Pesce

«L'apocalisse»


Una riflessione che non confonde i suoi strumenti di indagine, affidandosi con inusuale e inusitata purezza alla lente mistica della parola creatrice che è strumento prima della gnosi, e poi dell’immaginazione e dell’immagine, che non è tanto prodotta quanto dall’immaginazione catturata, esistendo forse indipendentemente da essa ma prendendo forma e vita solo attraverso di essa.

Una gnosi che, se vogliamo rimanda tra gli altri a Dostoevskij sulla cui concezione del mondo Nikolaj Berdjaev così scrisse: “la concezione di Dostoevskij è prima di tutto dinamica…da un tale punto di vista dinamico in Dostoevskij non vi è contraddizione alcuna. Egli realizza il principio della coincidentia oppositorum”.

Universi paralleli, si direbbe, in improvvisa comunicazione, sacra continuità ed umana imprevedibilità che paradossalmente e felicemente si connettono; Francesco Pititto e Maria Federica Maestri ricostruiscono con consapevolezza e profondità il legame spesso dimenticato tra storia ed eternità, tra umano e divino (oltre ogni fede), tra corpo e spirito a partire dallo stesso ambiente che accoglie questa imagoturghia.