Dopo l'allestimento di Edipo il Tiranno realizzato nel 1993, la messinscena di Antigone conclude il progetto Hölderlin, un progetto che ha impegnato per quattro anni l'attività di Lenz teatro in una articolazione di lavoro complessa, costruita attraverso lo studio approfondito e l'elaborazione drammaturgica e scenica delle tragedie, le letture di grandi attori europei come Bruno Ganz, Marisa Fabbri, Edith Clever, le riflessioni e le analisi critiche di registi di cinema e teatro, di filosofi e germanisti.
La messa in opera di Antigone di Friedrich Hölderlin, prima traduzione e rappresentazione italiana, conclude il progetto che per quattro anni ha impegnato il Laboratorio di Ricerca nell’analisi e nella rappresentazione delle tragedie di Hölderlin, un'esperienza artistica che ha profondamente segnato la poetica e il linguaggio teatrale di Lenz Rifrazioni.
L'esilio dalla nostra lingua. Lontani dai segni e dai sensi conosciuti siamo in una terra straniera. Separati dal nostro linguaggio iniziamo a leggere il greco di Sofocle e ad ascoltare il tedesco di Hölderlin. La stratificazione del senso e del suono dei due testi è la nostra memoria. Ma è solo il testo di Hölderlin che viene assunto nella sua integrità come testo origine della rappresentazione tragica.
Il suo ordine lessicale e sintattico - costruzioni paratattiche / discontinue / ellittiche / frammentate - diventa il fondamento del nostro nuovo stato di parola. Inseguendo la letteralità estrema e i mutamenti radicali della sua traduzione, la convenzione della nostra lingua si sovverte nell'invenzione di un idioma trasparente che spoglia e denuda il senso. Lo scheletro di un linguaggio ai limiti della comunicazione, che solo il corpo-voce degli attori e il corpo-spazio della scena riescono a tradurre in passione tragica. All'origine del pensiero-parola non c'è l'armonia ma la violenza del conflitto e la sofferenza del "corpo in lotta col dio"
La traduzione e la scrittura drammaturgica de La Morte di Empedocle (terza stesura), Edipo il Tiranno e Antigone sono il risultato di un lavoro unitario; la doppia traduzione - testo origine/testo tradotto (compito del traduttore) e testo drammaturgico/testo scenico (compito del drammaturgo e del regista) viene superata nell'unità del processo compositivo. Le tre funzioni – traduttore, drammaturgo e regista – procedono insieme, elaborando nell’atto della traduzione la struttura drammaturgica e le funzioni sceniche, in una reciprocità formale e concettuale che tende ad autogenerare il nuovo testo.
Il testo hölderliniano origina e contiene il meccanismo tragico e la sua possibilità espressiva, ma nello stesso tempo il modello drammaturgico che lo rappresenta spinge la traduzione alla ricerca della forma che più radicalmente esprima il senso dell'azione tragica.
Il movimento triadico di Edipo + Antigone + Ismene, il segno dell'"Elend" - l'esilio-miseria dell'eroe - concludeva l'ultimo atto della nostra mise-en-act di Edipo il Tiranno. L'immagine finale si componeva come il preludio del futuro conflitto dell'ANTIGONE: la lotta per la morte dei due maschi-fratelli Eteocle e Polinice e la lotta per l'amore delle due femmine-sorelle Antigone e Ismene, al centro della scena Creonte.
Ma in Antigone tutto è già compiuto. Della lotta rimangono solo i corpi stesi sul suolo secco; è il tempo del lutto. Si deve dare inizio al lavoro della sepoltura. All'agon dei maschi segue l'ergon (lavoro) delle femmine, il lavoro del dolore. Perché è nel lavoro del lutto che si rigenera filia (amore). Ma adesso è il tempo dell'assenza d'amore, è il tempo della guerra. Il lutto deve essere impedito. La sepoltura deve essere interrotta. Ma il lavoro non si ferma, l'opera deve essere portata a termine. Lo spirito dell'amore e lo spirito della battaglia uniti nella pesantezza di un unico corpo eroico sono costretti alla loro dualità. Separati non sanno più chi guardare e dove andare, soli stanno al margine del loro tempo e del loro spazio.
Nell'Antigone il luogo originario del tragico è perduto, negato, sottratto dal tempo e dalla storia. La frammentazione spazio-temporale dell'Edipo contiene in sé la condizione dell'abbandono e dell'esilio. La perdita del luogo unitario, l'ultimo luogo visibile del conflitto, il luogo-fabbrica, ci obbliga al confine, al luogo straniero: il teatro è il non-luogo, lo spazio di transito, il margine.
Ma nella condizione dell'esilio un sentimento: la nostalgia della terra del padre. Con quella copriamo il corpo nudo del teatro.
La costruzione del suolo di Antigone è l'atto tragico degli attori; l'insieme dei loro atti costituisce l'opera, monumento provvisorio e mutante, la scena del lutto.
Rappresentando la conclusione del progetto Hölderlin, il lavoro su Antigone assume un significato estremamente importante per la poetica teatrale di Lenz Rifrazioni; tendando di restituire la tensione originaria della struttura mitologica della tragedia, Hölderlin attraverso la sua traduzione/interpretazione del testo classico riscrive una nuova opera; nell’Antigone Hölderlin non si limita alla contestualizzazione culturale del testo nell’epoca romantica, ma oltrepassa la lettura tematica enucleando un nuovo “mitema”” di natura linguistico-poetica: è la parola del poeta a significare per se stessa la necessità del conflitto e dell’opposizione tragica
Nell’istituire la forma della rappresentazione tragica di Antigone Lenz Rifrazioni seguirà “fatalmente” le indicazioni filosofiche di Hölderlin; ogni elemento strutturale dello spettacolo sarà l’epifania della parola che fa morire:
Traduzione: Barbara Bacchi.
Drammaturgia e regia: Maria Federica Maestri, Francesco Pititto.
Opera scenica: Giuliana di Bennardo.
Costumi: Lorenzino Piazzi.
Drammaturgia ed esecuzione musicale: Patrizia Mattioli.
Interpreti: Simona Angioni, Annamaria Benone, Adriano Engelbrecht, Pieter Jurriaanse, Ercole Lattari, Elisa Orlandini, Bruno Pistorio, Sandra Soncini, Cristina Terzoli.
Buti, Teatro Francesco di Bartolo, 18 febbraio 1994.