I Promessi Sposi - Note di drammaturgia, regia, imagoturgia e composizione musicale 

I Promessi Sposi, dopo le traduzioni sceniche da Ovidio e Virgilio, rappresentano per Lenz un nuovo oggetto d’indagine drammaturgica e artistica. Le tematiche del caos e dell’esilio affrontate con i due autori classici latini diventano, con Alessandro Manzoni, ulteriore pretesto per indagare gli archetipi della cultura italiana e, in particolare, gli elementi fondativi della lingua intesa non solo come scrittura/lettura ma come grande affresco comprendente molteplici dati sul pensiero, l’estetica, la vocalità, il comportamento, la visione del mondo che riguardano - proprio in quanto imprinting genetici culturali - la contemporaneità della società italiana. Partire dai classici per interpretare l’oggi da un punto di vista artistico totale – drammaturgico, imagoturgico, installativo/scenografico, plastico, musicale e poetico – è il tratto caratteristico della nostra ricerca. Dopo progetti pluriennali sul romanticismo tedesco – Lenz, Büchner, Goethe, Hölderlin, Kleist – e sul barocco spagnolo e inglese – Calderón de la Barca e Shakespeare – il romanticismo italiano nel suo massimo rappresentante ci è parso naturale acquisizione di un nuovo elemento d’indagine creativa. Tanto più che gli elementi tematici dell’opera potevano essere impulsi positivi per l’ipersensibilità artistica che contraddistingue gli attori dotati di particolare status psichico-intellettivo con i quali, da anni, siamo soliti lavorare. E la selezione di stati d’animo, memorie di vita vissuta, condizioni emozionali e concetti sono stati i riferimenti per i primi approcci ai rimandi narrativi dell’opera e alla loro rielaborazione drammatica. L’oppressione, la minaccia, la forza, la debolezza, la violenza, il rifiuto, la resistenza, la disobbedienza, la viltà, il desiderio, la repulsione, l’inganno, la sopraffazione, la sottomissione, l’arbitrio, la speranza, la colpa, la confessione, la malattia, la sofferenza, l’espiazione, e molti altri segmenti costitutivi della vita sia dei personaggi letterari sia, soprattutto, dei soggetti creativi in campo hanno permesso una serie di “rifrazioni” dall’opera/romanzo all’opera/teatro. Iniziata con una serie di registrazioni vocali e rumoristiche (nella modalità bruitistica o noise music) dei diversi stati d’animo, emozionali e sentimentali. La ricerca è poi proseguita con l’ideazione di un habitat scenografico/installativo composto di sei grandi stanze dotate di pareti trasparenti e finestre colorate, come le grandi finestre delle basiliche medievali; uno spazio scenico denominato “PAESE DELLE STANZE LUMINOSE” e suddiviso in 14 stazioni, cioè punti di vista dello spettatore, stanze delineate da schermi cinematografici trasparenti dentro le quali si muovono gli attori che interagiscono con le immagini proiettate sulle pareti. “Corpi in vitro, semoventi, sorridenti come nascituri in ventri costretti dalla storia, dalla Historia delle loro piccole grandi storie, di ciascuno, degli sposi promessi fin dal primo vagito, rumori e suoni di prossimi futuri pieni di fatica, di paura, di riscatto. Corpi lucenti, stretti in spazi ristretti dalle cornici, dai confini, verticali di nere pareti d’ansia, d’angoscia, di sconfitta. Corpi allungati, dal basso verso l’alto, figure “similmente differenti” a quelle di Doménikos Theotokópoulos, Giacometti, Modigliani, semplici e sacre insieme. Come vetrate di grandi basiliche pulsano cromaticamente in ogni stanza, rocce vitree provenienti dai vulcani dell’Io.” come indicato nella scheda introduttiva all’estetica dell’immagine.

Il testo recitato è una composizione di frammenti originali, dissertazioni a braccio, rielaborazioni filtrate da memorie differenti, substrati di episodi di vita realmente vissuti o immaginati, concerto polifonico di dialoghi metafisici e metapsicologici ma continuamente rientranti (e di nuovo uscenti) nella corsia maestra del rimando testuale originario.

La moltiplicazione dei personaggi – due Lucia, tre monache di Monza (bambina-donna-vecchia) – la fusione schizofrenica con alterazione timbrica in un unico attore dell’Innominato e del Cardinale Borromeo, l’allegato arbitrario della morte di Don Rodrigo ripresa dal “Fermo e Lucia”, il tremore coreografico di Don Abbondio e il suo interrogarsi sull’amore fisico sono alcuni dei passaggi metalinguistici più significativi concessi da una drammaturgia libera quanto un blank verse shakespeariano. La visione dello spettatore è anch’essa libera e deambulante, solo invitata a sostare frontalmente allo svilupparsi dell’azione principale ma con ampia possibilità di mutare il proprio punto di vista, attardarsi o precedere la sequenza in atto essendo la scena fisica e virtuale permanentemente attiva senza soluzione di continuità o intervalli. Tutto vive e accade hic et nunc, tutti i dieci attori abitano la scena contemporaneamente nel “PAESE DELLE STANZE LUMINOSE”.

La ricerca musicale è stata realizzata sul “Requiem” di Giuseppe Verdi. I temi selezionati della composizione sacra del 1874 sono stati, secondo la suddivisione classica: kyrie eleison, dies irae, recordare, lacrymosa. Il metodo di lavoro si è sviluppato su due differenti procedimenti che conducono ad un unico risultato: la ri-drammatizzazione del Requiem all'interno della drammaturgia de I PROMESSI SPOSI. Nello specifico, il brano lacrymosa genera due differenti textures e, attraverso l'uso di un particolare algoritmo, il suono originale viene parcellizzato e catturato in una micro struttura spazio-temporale. Questa micro struttura viene sovrapposta ad altre micro strutture che, insieme, generano un magma sonoro denso. Densità che si compenetra all’interno dell’agire drammatico e della scena/installazione, sommandosi al movimento ritmico dell’imagoturgia sempre presente di fronte allo spettatore. Il secondo metodo, più "tradizionale", ha portato ad una riscrittura della partitura originale nelle sue prime dodici battute che, divise in parti ritmico-melodiche, vengono ri-assemblate in un nuovo elemento che rinvia ad un ricordo-oblìo della struttura originaria. Il continuo rimando corre di pari passo con lo svilupparsi delle sequenze teatrali che delineano la nuova scrittura narrativo/segnica sul doppio binario personaggio-attore sensibile.

Musica sacra e romanzo drammaturgico si intrecciano nelle ricostruzioni di vite vissute per davvero, personaggi manzoniani e verdiani si sovrappongono e si fondono tra identità perdute e ricostruite su di un canovaccio personale che ritrova percorsi comuni, identiche epifanie e uguali sofferenze in un unico grande affresco di verità e rappresentazione. Dedicato a Manzoni, è il requiem per tutti gli uomini che hanno creduto, sperato, lottato, il requiem per un ideale che la realtà sembra respingere o dimenticare. Una meditazione sulla morte in cui il tema tante volte affrontato nella finzione teatrale si fa universale. Nel riposo della morte esce l'ultimo personaggio della tragedia: “l'Uomo verdiano, con la sua intransigente moralità, con le sue aspirazioni tradite, vinto e tuttavia superiore al mondo.” . La presa di possesso dei personaggi manzoniani da parte di questi “magnifici umili” diventa una contemporanea rivolta del pane e una ribellione all’oblìo, una pestilenza benefica che costringe alla malattia dell’uguaglianza e alla misericordia dell’attore tragico, di intransigente moralità come l’uomo verdiano.

 

 

ottobre 2013
LENZ RIFRAZIONI